Gianna Nannini “Grazie”
Etichetta: Polydor Brani: Sei nell'anima / Possiamo sempre / L'abbandono / Grazie / Le carezze / Babbino caro / Treno bis / Io / Mi fai incazzare / Alla fine Produttori: Gianna Nannini & Wil Malone
Nella carenza cronica di donne rock che attanaglia da sempre il nostro Paese, questo non può che essere salutato come un ritorno salvifico. Eppure Gianna Nannini con “Grazie” sembra svolgere il bel compitino senza voler strafare. Prodotto da Wil Malone, uno che vanta collaborazioni con Depeche Mode, Verve, Skunk Anansie e un’ammirazione incondizionata per la Gianna, “Grazie” mostra il grande talento della toscanaccia solo in alcuni brani, guarda caso posti all’inizio e alla fine, cosicché a quelli in mezzo, meno convincenti, nessuno se la sente di togliere il titolo di riempitivi. Il tema portante dell’album è la fine dell’amore, cantata senza rancori e impennate d’orgoglio, ma, pare, con un’invidiabile serenità interiore. Gianna si guarda indietro e quello che dice, con voce ferma, è sempre e solo un dolcissimo GRAZIE grazie, non ti dimenticherò: «vado punto e a capo vedrai/quel che resta indietro non è/tutto falso e inutile»; grazie, mi manchi: «non ci sei ora che/voglio te/voce del mio silenzio»; grazie, sono qui a struggermi: «dolce com’è dolce/il pensiero che resta»; grazie con gli occhi umidi: «sotto le ciglia piove già/sei rimasto senza più parole/a guardare in faccia la realtà»; grazie per sempre: «grazie/di ogni tuo sguardo/dentro di me».
Il disco inizia col piglio giusto. Sei nell’anima è un signor singolo che Gianna illumina con un’interpretazione tutto cuore. In Possiamo sempre c’è la Gianna che preferiamo, quella che esagera, che non ha paura di sputtanarsi, quella che fa storcere un po’ il naso, spingendosi in quei territori - poco frequentati dai musicisti di casa nostra - in cui non esiste pudore e in cui lei, nella sua trentennale carriera, è stata a suo agio come nessun altro. Una che per rivendicare la propria autonomia rischia di offendere mezzo mondo («possiamo sempre vivere/possiamo sempre farci fuori/…/possiamo sempre scegliere/possiamo sempre farci suore/possiamo sempre far l’amore come comanda dio») è una che è così abituata a darsi completamente che del pudore non sa proprio che farsene. Fosse andato avanti così, sarebbe stato il disco più coraggioso dell’anno. Invece arrivano presto i momenti morti, dove si rinuncia a graffiare. L’abbandono, Io, Mi fai incazzare mostrano solo mestiere, e nonostante qualche schizzo di veleno restano tutto sommato innocue. La title-track è solo un gradino più su, vestita di una malinconia riciclata, con le strofe sommesse e il ritornello che esplode ruffiano, ma con un abbandono che riesce comunque a dare i brividi («in questo fuoco andato in lacrime/non sento niente»). Questi pezzi dimostrano anche che del contributo ai testi della scrittrice Isabella Sanatacroce la Nannini potrebbe benissimo fare a meno. Ritmica rallentata e scratch appena percettibili per l’unico brano non autografo, Le carezze: il testo, di valore indiscusso ma dallo scarso mordente, è di Pacifico, la musica di Wil Malone, ma l’arrangiamento alla Portishead non si addice alle corde vocali di Gianna, a cui non serve molto per soffocare con una canzone, come sa bene chi è in possesso di “Perle”, la raccolta di successi suonati al pianoforte uscita un paio di anni fa. Le cose tornano a girare nella maniera giusta nel finale, quando prima Treno bis, chitarra acustica e archi per una ballata a luci basse, poi Alla fine riportano Gianna a farsi interprete dei sogni malandati dell’altra parte del cielo. Nell’ultima traccia trovano spazio temi importanti quali carità, guerra, beneficenza, con il cantato che finalmente fa tremare, specie quando si inerpica in un crescendo di intensità («ora che fai/metti ponti di qua e di là/nascondi i segni/conti i giorni/che cominciano senza di noi/ci pensi mai/ai ricordi che scappano via/mi mancherai/e così mi farai compagnia») che fa rivalutare a posteriori tutto il disco. E allora ci scappa da ridere, pur sapendo che almeno metà di questo disco è inutile, perché Gianna è sempre Gianna. E se fosse nata in America, come minimo sarebbe stata Janis Joplin.
|