Ivano Fossati – Sferisterio, Macerata – 23.08.06
MACERATA - Che voto dare al concerto di Fossati allo Sferisterio? Dieci. Con Guccini sempre più stantio e De Gregori troppo impegnato a guardarsi allo specchio, è da tempo ormai che Fossati spicca come il miglior cantautore italiano. Di sicuro il più colto, raffinato, originale. Uno capace di porti cento domande in una sola canzone o, a volte, in una sola strofa. Uno che se fosse nato in Francia l’avrebbero già fatto santo e se fosse stato americano sarebbe in attesa di un Nobel. Invece Fossati si chiama Ivano e viene da Genova, uno di quei posti davanti al mare, quel posto davanti al mare, in cui mettersi a cantare di viaggi, amori e sogni è quasi una necessità. E della canzone d’autore ha sempre l’aria di essere uno stravagante professore-operaio. Sale sul palco sulle note di Ventilazione e sulla sua ritmica arrabbiata dà il via ad un concerto speciale. Un concerto all’insegna dell’impegno a tutto tondo, con una sentita Ho sognato una strada, pezzo d’apertura dell’ultimo album, per chi non si arrende alla politica guerrafondaia degli ‘ottusi della Terra’ («come si ammaina la bandiera/come si ammaina l’orgoglio/alla stessa maniera»), e con l’accoppiata Pane e coraggio («soprattutto ci vuole coraggio/a trascinare le nostre suole/da una terra che ci odia/ad un’altra che non ci vuole») e L’arcangelo («luce del mondo che vegli in eterno/solleva lo sguardo di quest’uomo/dall’inferno per sempre») con cui Fossati riesce a parlare di diritti umani senza rinunciare a fare poesia. Si abbassano le luci e L’amore fa lascia piovere emozioni con una purezza fuori dal comune, regalando uno dei momenti più intensi della serata, mentre La pianta del tè e I treni a vapore accontentano chi per applaudire convinto deve per forza aspettare i classici. La band è eccellente, i sette elementi non difettano certo di abilità tecnica, su tutti uno straordinario Mirko Guerrini ai fiati che, all’occorrenza, siede al piano e imbraccia la fisarmonica. Dopo chitarre elettriche in abbondanza per Cara democrazia, ecco la festa di organo e armonica per La bottega di filosofia, una delle più sorprendenti canzoni degli ultimi anni, con la geniale doppia metafora del ‘borghese visionario’ e del ‘rivoluzionario cieco’ per raccontare l’inutilità degli stereotipi e il sempre raro valore aggiunto dell’intelligenza. C’è il tempo per la rilettura di Ragazzo mio di Luigi Tenco, che viene definito un ‘fratello maggiore’, e poi per Denny, l’applauditissima Mio fratello che guardi il mondo e Panama prima della pausa. Nei bis Fossati infila tre canzoni che, ascoltate così, una dietro l’altra, rendono pienamente giustizia al suo essere cantautore a 360°, mettendo insieme in un abbraccio di bellezza sublime tutti i temi a lui cari: Il bacio sulla bocca, Questi posti davanti al mare e La canzone popolare. Una seconda passeggiata dietro le quinte, poi C’è tempo e la chiusura ‘solo voce’ con la sempre attuale Il disertore. Dopo ventitre brani per due ore di musica, c’è l’ovazione meritata per un artista che coglie la magia di un posto splendido, la fa sua e la rende al pubblico trasformando il concerto in qualcosa di unico, in cui l’irripetibilità del momento si staglia in una serata dalle tinte forti e meltietniche con il potere di una bellezza che non si equivoca, come «l’istante in cui scocca l’unica freccia che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle».
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