Il Cameroun di Alice
Quando si vive "al limite" è dura per tutti, soprattutto per i bambini
16/05/2008 - Qui ogni donna fa molti figli, anche 10 o più a volte. Se ad ogni latitudine un figlio è considerato un dono di Dio, qui il ruolo della donna è quello di fare figli ed occuparsi della famiglia. Chi non riesce ad averne non viene considerata una donna: il suo essere femmina sta tutto nel fatto di “produrre” bambini. Spesso essa misura l’amore che il marito nutre per lei in base a quanti figli ha concepito con lui. Le famiglie quindi sono molto numerose e spesso la fonte primaria di sostentamento è la coltivazione del miglio. Ci sono anche coltivazioni di riso e fagioli ma non sono abbastanza redditizie. La terra, qui all’estremo nord del Cameroun, è arida e spesso un raccolto serve solo per sfamare la propria famiglia. Se un membro è malato ed ha bisogno di cure, occorre vendere il miglio e si resta senza cibo.
Il papà parte al mattino presto, con il sorgere del sole, per andare a lavorare nei campi e la mamma va a prendere l’acqua e la legna per il fuoco. A volte anche lei va a lavorare la terra e allora entrambi rientrano al tramonto. I bambini restano tutto il giorno soli a casa, i fratelli di tre, quattro anni si prendono cura dei più piccoli. Un bambino di quattro anni è considerato già grande per sbrigarsela da solo. Se le mamme sono nei campi, sono le bambine che vanno al pozzo a prendere l’acqua, la legna e accendono il fuoco. Anche per chi ha la fortuna di andare a scuola ed avere la mamma a casa la situazione non cambia molto: occorre percorrere molti chilometri a piedi per arrivare a destinazione.
Quando un bambino muore la cosa viene accettata con rassegnazione: “Il destino ha voluto così”, “Dio aveva questo in serbo per lui” si dice. Nel libro “Memorie di un soldato bambino” si legge: “Quando qualcuno muore significa che nella sua vita non ci sarebbe stato più nulla di bello, così Dio ha preferito farlo morire” : questo è un po’ il pensiero africano sulla morte.
Ogni cosa trovata in terra (un pezzo di carta, di stoffa, di vetro, una bottiglia di plastica rotta) diventa per loro un gioco da custodire gelosamente. Con le foglie i fiori i bimbi costruiscono aerei e macchinine. Da noi i figli sono spesso il frutto di una programmazione fatta a tavolino in base agli impegni di lavoro, alle disponibilità economiche: da noi i bambini sono a volte stressati dalle esagerate attenzioni prestate in maniera disordinata, ad ore, per compensare la mancanza di tempo che si passa con loro, soffrono di solitudine, depressione, iperattività, hanno mille impegni tra scuola, attività ricreative e sportive. In Africa un bambino di due anni è già troppo grande per essere preso in braccio e coccolato.
All’inizio della mia esperienza non capivo, non mi spiegavo, provavo solo tristezza. Ora inizio a comprendere, a vedere alcune cose dal loro punto di vista. Quando si vive ogni giorno al limite, si é costretti ad essere più duri anche con i propri figli: altrimenti da grandi (cioè a 11, 12 anni) come farebbero a sopravvivere quando, come accade spesso, la mamma muore in giovane età e possono contare solo su loro stessi? Qui se non ce la fai ad affrontare le necessità vitali, non sopravvivi. Provo comunque tenerezza per i loro sguardi da bambini cresciuti troppo in fretta, per espressioni a volte tristi ma così piene di vita, di forza, di gratitudine per il loro tutto che per noi è niente.
Alice Beltrami
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