Il Cameroun di Alice
Una meritata vacanza … sulle spiagge dell’oceano (3)
Prosegue il diario di Alice che si gode un periodo di vacanza nel profondo sud del Cameroun
28/04/2008 - Viaggiamo nel profondo sud del Cameroun, verso Campo, l’ultimo villaggio al confine con la Guinea Equatoriale. In una macchina omologata per 4 persone siamo in 8, quattro sul sedile posteriore, io e l’autista sullo stesso sedile, altri due accanto a me: sono taxi che fanno giorno e notte questo tragitto da Kribì a Campo, sempre a pieno carico su strada non asfaltata. La signora seduta accanto a me racconta che suo fratello vive ad Ebodje, un villaggio a metà strada su questa rotta: prendo il suo indirizzo perché pensiamo di fermarci lì qualche giorno durante il ritorno. A Campo, luogo di confine, ci sottoponiamo alla registrazione dei dati da parte della polizia che vuol sapere se abbiamo intenzione di entrare in Guinea.
Andiamo al WWF per organizzare l’escursione in foresta, poi cerchiamo un’auto che ci porti fino all’entrata del parco (circa due ore di pista) da dove poi continueremo a piedi per addentrarci nella fitta vegetazione. Non so se è suggestione, ma l’aria che si respira è quella di un paese ai confini del mondo. Troviamo un’affittacamere per passare la notte. Alle 6 del giorno dopo siamo in strada verso la foresta, con noi c’è una guida. Inizialmente seguiamo un sentiero, poi ci addentriamo nel fitto verde: l’umidità è del 200%, un caldo tremendo. Tanti suoni diversi, alberi grandissimi, tronchi con radici che escono dal terreno e si intrecciano con altre radici, con liane. Camminiamo su un letto di foglie secche, il terreno è bagnato, la terra è scura e dall’odore forte. La guida con il machete dà un colpo secco a una grossa liana penzolante, la mette in bocca e ne beve la linfa, acqua trasparente e fresca, poi ci fa vedere un albero dalla cui corteccia le popolazioni ricavano un latte curativo per la malaria. Udiamo il richiamo dei gorilla: la guida ci fa fermare ma purtroppo avvertono la nostra presenza e si allontanano. Rientriamo al villaggio nel primo pomeriggio: la gente ci saluta chiamandoci per nome, impossibile qui passare inosservati.
La mattina dopo ripartiamo e ci fermiamo nel villaggio di Ebodje, anch’esso formato da poche case immerse nella foresta con l’oceano alle spalle. Alloggiamo dalla famiglia della signora incontrata nel viaggio d’andata, sono gentilissimi. La casa è grande, 4 stanze e cucina esterna, ovviamente niente acqua corrente, niente luce e niente bagno. Madame Jacline, l’anziana mamma, è una donna longilinea con un grande seno cadente ma dall’aspetto elegante. Parla con un tono pacato e si rivolge a noi chiamandoci “figli”. E’ in cucina il posto dove trascorre l’intera giornata, il fuoco acceso con sopra un grande pentolone, è seduta su una piccolissima panca e sta preparando qualcosa con foglie e farina che non capisco. Entro, dice di sedermi e inizia a spiegarmi il suo lavoro senza che io chieda nulla. La farina è di manioca, mescolata con acqua, ha precedentemente grattato il fiore della pianta stessa per ricavarne la farina, ha poi ripulito la stessa passandola al setaccio ed ora mette questo composto molliccio all’interno di grandi foglie di un’altra pianta, già lavate, di un verde intenso. Arrotola il tutto come un lungo sigaro: la cosa più stupefacente però è lo spago con cui lo lega. Prende il tronco del banano, toglie la prima corteccia e resta il cuore, che è un altro tronco color crema, molto lucido. Da questo, come un sedano, sfila lunghi e resistentissimi fili con cui lega le foglie. Mette tutto nel grande pentolone fa bollire per circa due ore ed ecco pronti i bastoni di manioca, che solitamente vengono serviti come contorno al pesce, non sanno quasi di nulla, a me però piacciono molto.
Parlare con questa donna mi dona un senso di grande tranquillità. Suo marito è morto, ha 4 o 5 figli, solo uno vive con lei, gli altri sono sparsi per il Cameroun. Per due giorni viviamo con loro, in questo giardino di alberi da frutto tropicali, il sapore del mare e bambini che giocano e ci rincorrono per farsi fotografare. Gente semplice, ritmi di vita lenti, scanditi dal mare e dalle stagioni. Resterei qui un’intera settimana, questo posto induce al pensiero, alle riflessioni, crea sensazioni di tranquillità. Purtroppo però dobbiamo ripartire, lascio a malincuore questa famiglia, ma prometto a me stessa che tornerò. L’ultima sera è di pesce in spiaggia, birra fresca, fuoco, jambè e canti africani con i proprietari della piccola baracca adibita a cucina: degna conclusione di una fantastica vacanza alla scoperta di un’altra parte di Cameroun.(da provincia.ap.it) Alice Beltrami
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