L'Etiopia di Francesca
La qualità della vita ad Addis Abeba diminuisce a vista d'occhio e in questi giorni manca la luce in tutta la città...
Stasera per la seconda volta da quando sono in Etiopia, scrivo questo mio articolo sulle pagine del mio piccolo block notes su cui vi è annotato in modo disordinato un po’ di tutto: idee per il lavoro, piantine di abitazioni, numeri di telefono, spese fatte, pensieri vari. La prima volta in cui mi è capitato di scrivere così, ero in una camera di uno di quegli alberghi del sud d’Etiopia provviste solo di un letto e di una bacinella con brocca d’acqua, con la latrina esterna, e fuori c’era un gran temporale. Stasera invece sono ad Addis Abeba nella camera del mio appartamento, a un metro da me il mio computer…
Addis è buia ormai da tre sere, i lampioni nelle strade sono spenti e le uniche luci provengono dai fari delle macchine, che si muovono sempre più caute perchè è diventato più difficile evitare una buca nell’asfalto o una persona che attraversa di corsa e imprudente la strada. Molti etiopi, e tra questi sicuramente quelli che camminano a piedi la notte, non posseggono un’automobile e non guidano; capita perciò che essi, non abituati a cosa voglia dire guidare al buio, non sappiano valutare distanze e velocità e credano che il guidatore sia in grado di distinguerli anche a grande distanza grazie ai potenti fari dell’auto; non sanno invece che è possibile scorgerli solo all’ultimo momento.
Stasera non c’è elettricità neanche nelle abitazioni della zona dove abito, “Mabrat iellem” (non c’è luce) mi avvisa la signora che abita sotto casa. Probabilmente hanno ricominciato a razionare di nuovo l’energia elettrica per aree, anche se con le piogge i bacini idrici si sono riempiti e in parte il problema della carenza di energia elettrica è stato tamponato in questa stagione.
Quando si è soli al buio, non resta molto altro da fare che accendere delle candele, alla luce delle quali si legge o si scrive ed è ciò che sto facendo anch’io stasera. Comincio ora la terza paginetta del mio piccolo block notes, tentando di immaginare quanto quello che scrivo possa occupare su un foglio di un word processor.
Ho visto cambiare Addis Abeba nel giro di pochi mesi: l’aumento del numero di persone che dorme sotto i ponti, un tasso di cambio svalutatosi per la moneta locale di quasi il 15% in 10 mesi, le file alle pompe di benzina quando il carburante in città scarseggia, l’aumento dei prezzi del cibo, la fatica nel trovare alcuni beni alimentari nel negozio vicino casa da cui mi rifornisco, ma in cui scopro ogni volta varietà e quantità minori e infine anche il buio nelle strade principali. Tra l’altro il passaggio a questo nuovo livello è avvenuto improvvisamente e su tutte le strade, nessuno ha protestato, in giro non se ne parla e la vita di tutti i giorni continua come al solito; “l’uomo si abitua a tutto, purché raggiunga il giusto grado di sottomissione” diceva C.G. Jung. La gente qui si lamenta solo per l’aumento del prezzo del cibo che, pur essendo una priorità, non è di certo l’unica emergenza che la popolazione si trova ad affrontare. A volte mi chiedo se la calma sia solo apparente, perché rassegnata, o stia arrivando il momento in cui si trasformerà in qualcos’altro.
Vedere diminuire così velocemente la qualità della vita delle persone mi spaventa, non solo perché è facile immaginare un aumento della (micro)criminalità in questo contesto di sempre maggior miseria ma soprattutto perché il peggioramento delle condizioni di vita sembra privo di argini e incontrollabile e le sue cause non sono immediatamente comprensibili.
Ops, è caduta la candela che avevo appena acceso e posizionato sul collo di una bottiglia di vetro, il genere di candelabro che preferisco perché mantiene le candele dritte e alte e mi permette di spostare facilmente la luce dove voglio. Sarà il buio, ma stasera, più che mai da quando vivo ad Addis, sono particolarmente preoccupata per questo paese. (da provincia.ap.it)
Francesca Bernabini
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