Il Cameroun di Alice
Il racconto terribile e tenero del rito dell'iniziazione di un bambino
In questo periodo tutti i bambini della zona hanno ricevuto l’iniziazione: non è stato semplice trovare qualcuno che mi raccontasse cosa succede durante questa dura esperienza, un’altra cosa difficile da comprendere, ma affascinante e piena di mistero, che ho scoperto in terra d’Africa. Per le donne questo è un vero tabù: per fortuna ho trovato un amico che, un po’ a fatica, mi ha narrato il rito. Anche se credo che non mi abbia detto proprio tutto.
E’ da qualche giorno che i miei genitori mi fanno dei discorsi strani, dicono che partirò per circa un mese con altri bambini del villaggio, andremo in brus (campagna) dove impareremo nuove cose che ci serviranno per diventare veri uomini. E’ un privilegio riservato solo a noi maschietti, dovrò essere forte e resistere a tutte le prove a cui verrò sottoposto. Durante questo periodo solo mio padre verrà a trovarmi e mi porterà il cibo che mia madre preparerà per me e qualche vestito. Non ho ben capito perché hanno deciso di farmi fare questa vacanza e a cosa si riferiscono quando parlano di dure prove: sono ancora piccolo, ho solo sei anni. Sono entusiasta e curioso di partire con i miei amici, saremo in tanti, forse cinquanta e sicuramente ci divertiremo.
Il giorno della partenza è arrivato: mi sveglio all’alba, mia madre mi abbraccia forte per salutarmi, i suoi occhi sono velati di lacrime, sembra preoccupata. Non so perché, in fin dei conti un mese passerà in fretta. Mi incammino con mio padre, la sua grande mano stringe forte la mia; per strada incontriamo altri bambini con i papà, tutti verso la stessa direzione. Arriviamo al luogo stabilito, non c’è nulla: intorno a noi solo alberi e cespugli. Due signori anziani ci accolgono e ci conducono verso un grande baobab: questa sarà la nostra casa per tutto il mese. Ci spiegano subito che non molto lontano da qui c’è il capo villaggio che ci aspetta: andremo da lui uno alla volta e ci farà una piccola operazione che chiamano circoncisione. Sentiremo un po’ di dolore, ma dicono che dobbiamo essere forti, passerà in qualche giorno. Restiamo solo noi bambini e le nostre guide.
E’ arrivato il mio turno, mi accompagnano dal capo villaggio, ho paura… Prima di me lo hanno fatto i miei fratelli, mio padre, mio nonno, quindi non dovrebbe essere poi così brutto. Ripeto questa frase dentro di me per tranquillizzarmi. Saluto il capo villaggio con grande rispetto, è gentile e cerca di rassicurarmi. Mi bendano gli occhi: dicono sia meglio che non veda il sangue che uscirà dalla ferita, così eviterò anche di svenire. Poi non capisco più nulla. Un dolore freddo mi pervade il corpo, nella testa rimbombano i rumori della natura, voci che blaterano qualcosa, ma non riesco a capire cosa dicono. Ho formicolio ovunque, sento come se il corpo mi stesse abbandonando. Ho tanta paura… Mi mettono in bocca qualcosa di un sapore dolce. Riprendo il controllo di me ma il dolore è fortissimo. Vorrei piangere, vorrei chiamare mia madre ma non posso, ho promesso che sarò forte: ora sono un uomo e devo comportarmi come tale. Mi tolgono la benda, è tutto finito, dicono che sono stato bravo, avrò dolore ancora per un po’ ma mi daranno dei medicinali tradizionali che serviranno ad alleviarlo e ad evitare infezioni.
Il sole è tramontato, siamo tutti sotto il grande albero, tutti con lo stesso dolore e la stessa sensazione di incertezza ma anche di forza e coraggio; siamo un gruppo di cinquanta uomini che oggi hanno dimostrato di saper resistere anche al dolore più lancinante. Siamo stanchissimi e presto ci lasciamo andare a un sonno profondo, sdraiati sulle nat (tappeto di paglia), cullati dai canti dei grilli e dai richiami dei gufi.
E’ l’alba: i nostri padri vengono a portarci da mangiare. Ma non possono parlare con noi, lasciano i piatti e se ne vanno. Buil ricca di riso, farina di miglio, farina di tapioca ed arachidi. Buil di miglio con salsa di carne per mangiare a pranzo e a cena. E’ molto importante bere la buil perché i suoi componenti sono ricchi di vitamine indispensabili in questo periodo per evitare qualsiasi malattia.
E’ già passato qualche giorno e mi sento meglio. Le nostre giornate sono scandite più o meno dagli stessi ritmi del villaggio, si va a prendere la legna, l’acqua al pozzo, si lavorano i campi, abbiamo anche costruito dei fischietti di terra e fango, una dolce melodia che accompagna i nostri canti della sera. Uno di questi dice: “ è bello stare qui, tra la natura, con i miei compagni, so che non avrò una seconda possibilità, ma sarebbe bello poter tornare….”. Mio padre continua a venire ogni mattina per portarmi da mangiare. Intanto noi ci stiamo preparando per la festa del rientro al villaggio. La sera, intorno al fuoco, le nostre due guide ci raccontano le storie degli antenati, ci spiegano l’importanza di essere uomini, come ci dovremo comportare quando rientreremo a casa.
E’ già passato un mese, la ferita non fa più male, sono pronto per rientrare al villaggio da vero uomo. Ora non sarà più mia madre a vestirmi o lavarmi, farò tutto da solo, anzi chiederò a mio padre se posso andare a cambiarmi nella sua stanza. Siamo tutti vestiti con l’abito tradizionale, il bubu, con cappello e foulard che copre il viso. E’ stata mia madre a regalarmi questo vestito, com’è nella tradizione, e mio padre me lo ha consegnato il giorno prima del rientro. Lui invece mi ha regalato dei jeans e delle scarpe nuove, che meraviglia!!! So che questo per loro vuol dire tanti sacrifici, ma so anche che in queste occasioni non si può non rispettare la tradizione ed i miei genitori farebbero tutto per il loro piccolo uomo.
Vedo mia madre da lontano, vorrei correre ad abbracciarla, mi è mancata tanto, ma non posso. Devo aspettare ancora un po’. Ha in mano una pentola con qualcosa di buono da mangiare. Tutte le mamme sono in fila ed attendono i loro uomini. Nella piazza del villaggio cantiamo e danziamo, è una grande festa. Finalmente ci danno il via per poter riabbracciare le nostre mamme ed i nostri fratelli. Come vuole la tradizione, gli iniziati possono parlare con le donne e con i bambini più piccoli che non hanno ancora fatto questa esperienza solo dopo che questi abbiano dato loro un piccolo dono. Così, anche per rispondere a semplici domande di convenienza, ho aspettato che mi dessero una caramella o 50F.
So che mio padre in questo periodo non ha potuto raccontare nulla a mia madre sulla mia salute ed immagino che lei sia stata davvero preoccupata. Ora finalmente sono a casa: è andato tutto bene, nessuno di noi bambini ha avuto complicazioni di salute ed anche io, adesso, posso dire di essere l’uomo di casa…
Alice Beltrami
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