L'Etiopia di Francesca
Addis Abeba è la grande città, la capitale, ma basta poco per capire che anche qui siamo in piena Africa...
19/08/2008 - Quando da Moyale mi sono trasferita ad Addis Abeba e dall’Italia mi chiedevano di descrivere la capitale, io, ormai avvezza a quell’insieme di disagi materiali che aveva caratterizzato i miei primi mesi etiopici, rispondevo che mi sembrava di stare in Europa. Amici e colleghi che abitano da tempo qui in città e ascoltavano il mio commento, a loro volta commentavano ironici: “Forse è troppo tempo che sei in Africa e non ricordi più com’è l’Europa…”.
A distanza di qualche mese, devo dar loro ragione: Moyale e Addis Abeba rimangono due luoghi completamente diversi per sistemi culturali e possibilità di accesso a opportunità di vario tipo, compreso l’utilizzo dell’acqua, ma sono pur sempre due facce di un Paese africano vasto ed estremamente variegato.
Ad Addis Abeba all’inizio può trarre in inganno la presenza di una multisala che propone i più recenti film americani in lingua originale (sottotitolati in arabo perché provenienti dal Medio Oriente, così come capita anche sui canali televisivi satellitari), di negozi che vendono a caro prezzo prodotti alimentari italiani e francesi (è possibile acquistare perfino il prosciutto San Daniele e i biscotti Mulino Bianco), di ristoranti che propongono le più diverse cucine internazionali, compresa quella, squisitissima, italiana. Ma, avendo già alle spalle un’esperienza di terra africana, guardandomi non c’è voluto molto per rendermi conto che questa città altro non può essere se non una capitale africana.
La particolarità di Addis è di avere un aeroporto molto vicino al centro e quindi la città “si presenta” subito, ma uno straniero che arriva per la prima volta è indotto a credere che quella che sta osservando sia la periferia della città. Molte strade sono asfaltate ma ve ne sono in egual misura in terra battuta. Sono molti i palazzi in costruzione e colpiscono le impalcature costruite con i tronchi di eucalipto, alberi molto diffusi nelle aree intorno alla capitale e utilizzati per questo scopo perché crescono particolarmente dritti e alti. I tronchi però non vengono lavorati ma utilizzati così come sono: l’impalcatura risulta dunque inevitabilmente storta offrendo un’immagine di fragilità poco rassicurante.
Lungo strade ad alta intensità di traffico può capitare di incontrare delle rotonde nelle cui aiuole spunta un po’ di erba spontanea: gli autisti, già impegnati a manovrare in un’area particolarmente caotica, devono anche cercare di “scartare” le mucche che stanno brucando nella rotonda. In altre città etiopi mi è capitato di assistere al passaggio di mandrie di cammelli che si spostavano pacifiche tra gli edifici, come solo loro sanno essere, guidate da pastori negli abiti tradizionali per migrare in aree in quel momento più favorevoli. D’altronde, se una città è stata costruita proprio lungo la traiettoria delle migrazioni, seguita magari da secoli, né pastori né cammelli vedono la ragione per cui il percorso debba essere modificato.
I pedoni, nell’attraversare la strada, devono prestare attenzione ai veicoli provenienti da tutte le direzioni e anche ai tombini profondi almeno un metro ma lasciati scoperti: due miei amici giurano di aver visto una volta un ragazzino caderci tutto dentro. Qualcuno ipotizza che i tombini non siano coperti perché c’è sempre qualcuno che rompe la protezione per rivenderne il metallo.
Francesca Bernabini
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