L'Etiopia di Francesca
La povertà, che nelle zone periferiche e rurali del Paese è condizione comune a tutti, in città diventa elemento stridente di diseguaglianza
11/07/2008 01:41:14 - Rispetto a Moyale, qui ad Addis Abeba le diverse forme di povertà sono molto più visibili. Quando in field vedevo i bambini andare in giro scalzi, le donne cariche d’acqua e i pastori vestiti modestamente camminare accanto ai propri magri animali, non provavo la sensazione di essere accanto a gente che ha perso la speranza. Anzi, in quei momenti mi sembrava di osservare persone che esprimevano tutta la loro dignità e forza proprio nella quotidiana fatica di sopravvivere e di garantire migliori condizioni e opportunità alla propria famiglia.
A Moyale, pur all’interno di gerarchie claniche e sociali specifiche, una stessa condizione accomuna i suoi abitanti, trattandosi di pastori che abitano zone aride e soggette a cicliche siccità. Ovviamente tipologia e numero di capi di bestiame variano a seconda della ricchezza della famiglia, così come le modalità di accesso all’acqua su base etnica. A Moyale town in poche occasioni ho visto mendicanti allungare una mano, mentre nei villaggi non mi è mai capitato. Nei villaggi esistono un po’ per tutti dei mezzi per sopravvivere, per quanto molto scarsi e pur se per alcune famiglie in numero maggiore che per altre. Inoltre sono previsti dei meccanismi sociali tali per cui la sussistenza è garantita ai più deboli. Percorrendo i villaggi dove non esistono automobili, né acqua potabile, dove il pasto è lo stesso ogni giorno e dove alcune casupole di fango la sera sono illuminate da lampade a cherosene, si ha comunque l’impressione che il sistema, per quanto faticoso e inserito in un contesto arido e duro, funzioni.
In capitale invece le cose stridono maggiormente e le contraddizioni in termini di disuguaglianza sembrano vicine all’esplosione. S’incontrano spesso donne e uomini che chiedono l’elemosina, agli angoli degli incroci più importanti alcuni bambini cercano di vendere fazzoletti e gomme da masticare, mentre chi non possiede nemmeno quelli semplicemente allunga una mano, allo stesso modo in cui fanno le donne portando sulle spalle i loro figli o sedute all’ombra di una parete cercano di vendere delle noccioline. In prossimità delle chiese anziani, ciechi e zoppi chiedono qualche spicciolo.
Se poi ci si sposta in luoghi particolarmente sacri per la religione ortodossa, fino a qualche centinaia di chilometro dalla capitale, gli infermi e i malati che chiedono un sostegno aumentano in numero, così come le deformità corporali si fanno più evidenti e s’incontrano ad esempio persone malate di gotta e altre in grado di muoversi solo utilizzando tutti i 4 arti.
Oggi ho percorso una strada del centro di Addis Abeba su cui si affacciano ristoranti che offrono piatti internazionali e villette con antenne satellitari sul tetto; sul marciapiede dormiva un ragazzo completamente nudo, adagiato su due piccoli tessuti di stoffa lacera.
La povertà abbatte qualsiasi barriera legata al “buon costume”, la povertà permette di dormire ovunque, di vestirsi in qualsiasi modo, di avere relazioni “sconvenienti”, di mangiare di tutto. Mi è capitato di osservare dei bambini masticare con insistenza della plastica, strappata da alcune buste. La povertà ricicla ogni materiale e spesse volte le grandi distese di immondizia all’aria aperta costituiscono delle opportunità per venire in possesso di oggetti utili: pezzi di copertoni, teloni e tanti altri oggetti cui solo l’ingegnosità del povero è capace di dare un senso e attribuire una funzione.
Quando nei villaggi di Moyale notavo le casupole costruite con i sacchi di tela che erano serviti a contenere gli aiuti alimentari, mi chiedevo quanto le agenzie internazionali fossero consapevoli di aver fornito non solo frumento, ma anche materiali da costruzione. (da provincia.ap.it)
Francesca Bernabini
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