Amor Fou “La stagione del cannibale”
Etichetta: Homesleep Brani: Il periodo ipotetico / La convinzione / Se un ragazzino appicca il fuoco / I ritorni / La stagione del cannibale / Venti giorni di vita di una donna famosa / Ore 10: parla un misogino / Due cuori, una dark room / Cos’è la libertà? / L’anno luce / La strage Produttori: Amor Fou
La prima settimana di ascolto de “La stagione del cannibale” mi aveva proiettato verso una conclusione affrettata e sbagliata, che il disco, cioè, fosse una delusione. Niente che l’indie-pop nazionale non avesse già proposto, linee melodiche, umori, l’elettronica discreta, il decadentismo dei testi. Undici canzoni che si muovevano sull’asse Perturbazione-Baustelle e a cui mancavano l’incondizionata resa alla semplicità dei primi e i guizzi da fuoriclasse dei secondi. Delusione soprattutto considerando i nomi coinvolti nel progetto: Cesare Malfatti (La Crus, The Dining Rooms), Alessandro Raina (Giardini di Mirò, Noorda), Luca Saporiti (Lagash) e Leziero Rescigno.
Fortuna vuole che il web non abbia tempi stretti da rispettare e che, per recensire un disco – un disco ‘importante’ tra l’altro – ci si possa prendere del tempo in più. E così è stata la seconda settimana di ascolto a far lievitare “La stagione del cannibale” dentro le mie stanze, a far sì che le sue trame eleganti, emozionali e un po’ retrò sprigionassero il loro fascino. Lo stesso vale per i testi, che sono riusciti pian piano a sfiorarmi dolcemente e, giorno dopo giorno, scopro che lasciarsi sfiorare da loro dona una sensazione piacevole. Una volta che le melodie di Amor Fou entrano in testa, sono proprio i testi di Alessandro Raina a farsi visitare con sorpresa: si torna a loro come si torna alla compagnia di un vecchio amico con una bottiglia di buon vino. Volentieri.
A motivare e spingere la scrittura di questo album sono stati l’incontro con Adele H. e Paolo M. e i racconti della loro tormentata storia d’amore, finita il giorno della bomba di Piazza Fontana. E’ la società neoborghese degli Anni Sessanta a mostrare la belva nascosta dietro il suo benessere e l’effimera tranquillità sociale del boom a cullare nell’oblio chi non vede il nero oltre l’orizzonte: in queste canzoni si respira la stessa libertà di quegli anni magici e lo stesso terrore che ha messo loro fine. Il disco compie un percorso non scontato. Il periodo ipotetico, brano d’apertura, illumina dubbi e dolori passati, nell’attesa di veder sfumare il male («ma passerà, sì, passerà/questo pallore che ci rende così simili/da non distinguerci/sì, passerà»); La convinzione celebra l’estetica della decadenza («la convinzione che renda più nobili cadere molte volte/mi rende consapevole che farsi male richiede tempo»); Cos’è la libertà? è un abbandono disilluso alle proprie speranze sconfitte, un misero rifugiarsi in un tempo senza storia, senza futuro («io vorrei continuare a pretendere il meglio di questo tuo giovane cuore/ma non so imparare ad evitare il segnale di questo mio folle dolore»); L’anno luce rievoca la fine dell’innocenza, l’amore spezzatosi in sincrono coi segnali di guerra («mi è successo di pensare/a quel folle pomeriggio in cui mi dicesti fine/quella piazza/quella lurida fontana/quello scoppio»).
Una piacevole novità è che l’album sia stato pubblicato da Homesleep, etichetta bolognese a cui solitamente si collegano altri generi musicali. Ben venga questa incursione nel pop d’autore cantato in italiano, ben venga perché se anche altri gruppi della scuderia dovessero lasciarsi sedurre dalla nostra lingua, potremmo vederne delle belle: a qualcuno l’idea di sentire Yuppie Flu e MiceCars cantare in italiano potrebbe far ridere ma a chi scrive incuriosisce non poco.
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