Callas Assoluta presentato alla Biennale
di Chiara Poletti Emozioni forti per il documentario francese
Il 30 settembre si celebra il trentennale dalla morte di Maria Callas, avvenuta il 16 settembre a Parigi. Venezia alla Biennale gli ha reso omaggio con uno splendido racconto intimista inserito nella sezione Orizzonti Eventi, Callas Assoluta realizzato con gusto e fedeltà biografica, dal giovane francese Philippe Kohly : un documentario, un diario di famiglia, un ritratto del mito del Bel canto. I viaggi in America, in Europa e il debutto in Italia che la renderà celebre per sempre. E poi il matrimonio con l'industriale veronese Giovan Battista Meneghini, la grande solitudine, la bulimia che la portò a pesare 100 chili e la sua patria natale, la Grecia, infranta dal tradimento del suo amato Onassis, anch’egli greco. Intanto anche la Scala sta prerarando l’evento: un libro, due mostre e una sfilata.
Splendido il documentario presentato alla Mostra di Venezia. Callas Assoluta co-prodotto per la prima volta dalla sua terra natale, la Grecia e dalla Francia. Il regista e autore televisivo francese Philippe Kohly, ha realizzato una bellissima biografia: commuovente, anti-retorica, storica; che parla di Maria, ancor prima di Kallas, e di Callas. Racconta della famiglia, del rapporto conflittuale con la madre invidiosa dei suoi successi, e colpisce l’intervista all’insegnante di musica parigina, che la definì geniale nel capire al volo gli insegnamenti. Una studente che a scuola aveva sempre il massimo dei voti, e studiava pianoforte 10 ore al giorno invece che giocare nel cortile come le altre bambine. E prima che Maria raggiunga la celebrità, la Regina del Bel canto, la greca Medea di Pasolini soffrì di solitudine, fu oltraggiata e persino respinta alle audizioni del Met di New York. Questo ritratto, ha il merito di mostrare anche tantissima bell’Italia, nonostante la produzione sia parigino-centrica. Si vede la sua amata Venezia, Sirmione sul Lago di Garda, l’Arena di Verona e la Scala di Milano, dove Maria troverà il primo vero e importante riconoscimento internazionale, sostituendo definitivamente, la grande soprano di Pesaro Renata Tebaldi, il volo d’angelo di Toscanini. Di Maria si riconoscono gli amanti, il primo marito Battista Meneghini, -un sessantenne che accanto ad una fiorente 30enne non ebbe futuro- fino all’armatore di Montecarlo, greco come lei, Onassis. In realtà, Maria ebbe momenti anche di scarsissima celebrità. Soffrì di bulimia fino a pesare 100 chili e dopo l’abbandono dalle scene al primo atto della Norma a Roma, tutto questo le provocò agonie, contratti stracciati e l’attacco diretto dei media. Il questo film, ci si può immedesimare benissimo nell’iconografia di un personaggio insicuro, fragile ma coraggioso. La sua vita fu l’eterno dubbio del presente. Tutt’altro che una donna insensibile e dura. Lo dirà lei stessa, più volte. Il film, dedica buona parte delle riprese a documenti registrati, interviste dove Maria Callas si trasforma, cambia abiti, stili, e subisce vere e proprie metamorfosi d’identità. C’è poi un montaggio fotografico duplice e interessante: immagini in bianco e nero di repertorio, alternate a quelle a colori fotografate nel giorno d’oggi. Un gioco raffinato di immagini che scorrono sul binario dl tempo e che miscelate alla voce e alla musica di Rossini, Puccini fa venire la pelle d’oca. A volte le scene sono vuote, mentre la voce fuori campo, narra la storia. Teatri senza spettatori, come le riprese all’arena di Verona e a Venezia, girotondi di camera silenziosi. Un oblio che sembra dirci che lo spirito della Callas sia ancora tra noi. Come se anche ora, stesse girovagando dietro i corridoi delle quinte. Il film si chiude con i funerali di Onassis, a cui Maria Callas decise di presenziare nonostante il tradimento con la vedova Kennedy Jacqueline Lee Bouvier. Ma quell’ultimo bacio di addio sulla spiaggia immortalato dai fotografi di tutto il mondo, poco prima della morte di Onassis, a lei bastò per onorare il suo amato alla cerimonia funebre. Come mostra bene il documentario, gli ultimi anni di Callas furono passati in Grecia, accampata notte e giorno al tempio dove nel ’69 Pasolini girò Medea. E saranno gli anni più ritirati, intimi. Maria morì sola. Senza i suoi affetti vicini, ingoiando pastiglie e farmaci mentre fuori il suo pubblico non era più lo stesso. Un film che mostra un coraggio spaventoso per chi, allo stremo delle forze, alla fine cedette.
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