L'Etiopia di Francesca
Ben presto s'impara a instaurare un rapporto particolare con gli animali, principale fonte di sostentamento per tante famiglie
26/2/2008 - Prima di arrivare a Moyale non ero molto interessata agli animali: dicevo sempre che, dovendo impegnarmi in qualcosa, preferivo scegliere attività inerenti il benessere dell’uomo. La mia visione ha iniziato a cambiare subito dopo il mio arrivo in Etiopia: già la prima sera a Moyale, quando sono entrata in casa, ho scoperto che avrei dovuto dividere gli spazi con due gatti (che da pochi giorni sono diventati quattro), un cane e quattro polli.
Qui il contatto con gli animali è molto ravvicinato. La mattina, fuori dalle abitazioni, ci sono gli asini “parcheggiati” in attesa di partire per riempire d’acqua le jeriche che trasportano. Poi, lungo la via, se ne incontrano altri già in marcia: l’asino anche qui è l’animale da soma per eccellenza. Nessuno però si sogna di alimentarsi delle sue carni: un mio amico etiope mi raccontava come si fosse offeso quando un “ferenji” gli fece osservare che qui non si mangia carne d’asino nonostante ce ne siano tanti e il consumo di carne sia molto basso.
Lungo la via che mi conduce al lavoro incontro anche polli, galli e soprattutto capre. Queste ultime stazionano in particolare a pochi metri da casa, nei pressi di un ponticello (o meglio di una pedana) che congiunge due porzioni di una stessa strada e sotto la quale scorre un canale fognario. La pedana, in pietra e cemento, è larga meno di un metro, non ha protezioni laterali e per passare devo farmi spazio con attenzione tra le capre: l’ho soprannominata “the goats bridge”. Ritrovo poi le capre camminando nella piazza, a pochi metri dall’ufficio, mentre brucano tra la plastica e i mucchietti di immondizia. Lungo la strada asfaltata è possibile imbattersi nei cammelli caricati sui camion che però, come i bovini, sono molto più usuali da ammirare nel field appena fuori Moyale town.
Ci sono varie razze di capre e mi colpisce sempre la loro abilità di rimanere in equilibrio su terreni scoscesi e mensole di cemento molto strette. In particolare ne esiste un tipo con il corpo bianco e la testa nera (la chiamiamo “l’incappucciata”) con una coda molto grassa e sporgente che costituisce una riserva di calorie, come la gobba per i dromedari. Di bovini ce ne sono di vario tipo, ma il più affascinante è sicuramente la vacca borana, bianca, solida e dalle grandi corna.
L’importanza di un animale come una vacca o un cammello è fondamentale per la sopravvivenza: l’area è prettamente pastorale e quindi la principale fonte di sostentamento è il bestiame. Le sue buone condizioni garantiscono il reddito sufficiente per comprare beni essenziali come cibo e vestiario, ma anche libri, tasse scolastiche e cure mediche. Inoltre dall’allevamento del bestiame non si ricava solo la carne, ma anche il latte e le pelli. Alcuni animali sono più importanti di altri: la vacca di tre anni, ad esempio, garantisce la riproduzione delle generazioni future. Uno dei veterinari con cui collaboriamo mi ha detto che per i pastori possederne una equivale a un fondo pensionistico e riceve quindi particolari cure: se l’erba è poca, ad esempio, prima si fanno pascolare queste vacche, poi le altre.
Solitamente i pastori allevano o bovini o cammelli ma non entrambi perché sono animali che hanno cicli temporali di accesso all’acqua e tempi di riposo dopo gli spostamenti/migrazioni molto diversi. Le capre invece possono essere allevate insieme a bovini o cammelli anche perché solitamente esiste una ripartizione compiti nella cura degli animali: alla donna spetta soprattutto la gestione delle capre e degli asini, dato che sono le principali addette alla raccolta dell’acqua, mentre agli uomini quella dei bovini o dei cammelli, che spesse volte esigono lo spostamento di molti chilometri per raggiungere acqua e pascoli. Ma anche i bambini, sin dai primissimi anni di vita, imparano a prendersi cura e a sentirsi responsabili degli animali che vengono loro affidati.
Francesca Bernabini
Nelle foto: cammelli che si abbeverano, asini in una via di Moyale al tramonto, le capre “incappucciate” dalla grassa coda riserva di alimento.
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