Nick Cave & the Bad Seeds @ Villa Solaria, Sesto F. (FI) – 30.05.08: REPORT
di Pierluigi Lucadei
Tra le molte novità nel tour 2008 di Nick Cave, in ordine sparso: - neanche una sigaretta accesa per tutto il concerto, quando il Re Inkiostro era solito accenderne una per canzone (avrà smesso anche con la nicotina?); - molti sorrisi e straordinaria interazione con il pubblico, mentre un tempo il Re non sorrideva manco a pagarlo («you’re fuckin’ amazing», gli gridano, «no, you are fuckin’ amazing», concede lui, tranne poi fare retrofront, riprendere il microfono e correggersi «ok, you are amazing, I am fuckin’ amazing»); - più di una canzone suonata con la telecaster al collo e solo una seduto al piano; - formazione priva dell’ultimo Bad Seed James Johnston, molto massiccia, compatta, con Warren Ellis che sacrifica quasi in toto il violino per il mandolino elettrico.
Lo spettacolo inizia con le note di Night Of The Lotus Easters e Dig, Lazarus, Dig!!!. Si capisce subito che Nick è in forma invidiabile, da come devasta il palco e da come azzittisce ogni perplessità sull’ultimo album con una voce semplicemente perfetta. Il recupero di Tupelo, presentata come «una canzone che parla di una grande tempesta», ha del meraviglioso, l’inno più devastante sulla notte che diede vita al rock’n’roll dal vivo è emozione totale. Piacciono da matti anche Red Right Hand, con i suoi rintocchi di morte che sparpagliano pipistrelli e un assolo di organo che è ormai un classico e I Let Love In, con quell’attacco che da solo potrebbe essere un’introduzione all’intero canzoniere di Nick («despair and deception/love’s ugly little twins/come a-knocking on my door/I let them in»), un attacco che ti rimbomba dentro con tutte le note che seguono, sporche senza stridere, tossiche in punta di plettro. Tra i brani dell’ultimo album, la resa dal vivo è massima per Moonland, pezzo di desertica rarefazione, che si era fatto apprezzare parecchio anche nella versione in studio, e Midnight Man, il cui ritornello sembra calzare a pennello l’anima più danzereccia dei Bad Seeds. Durante Deanna inizia a piovere. Nick non si tira indietro, resta fuori dalla copertura del palco a prendere acqua e a sputare i versi del suo trascinante rock’n’roll e a cambiarli per l’occasione, anche. Così «the sun a hump at my shoulder» diventa «it’s raining now» ed è un gioco al rimando, perché Nick salta e grida «it’s raining now», il pubblico salta e grida «O Deanna». E’ una festa. L’acqua continua a venir giù per Lay Down Here (And Be My Girl), artista e pubblico ancora una cosa sola che scalcia urla si bagna e si eccita. Il momento più emozionante arriva con quella che da queste parti è la ballata per antonomasia, The Ship Song: con l’andatura strascicata e lo sguardo accigliato, Nick sembra un ragazzino, pieno di poesia e di spavento per tutto l’amore che gli scava il petto. Eseguite alla perfezione Papa Won’t Leave You, Henry e More News From Nowhere, ma con un coinvolgimento nettamente superiore per la prima, i nostri musici preferiti fanno una pausa durante la quale il rumore della pioggia è sommerso dalle urla. Tornano sul palco dopo poco più di un minuto e attaccano la sconquassante Get Ready For Love, seguita da una canzone scritta «quando ero giovane e bello», Hard On For Love, e non serve dire altro. Dopo due pezzi così tirati e agonizzanti, così estremi nel rendere chiaro come a cinquant’anni si possa tenere il palco con un carisma che Julian Casablancas, Alex Kapranos, Win Butler e tutti gli altri colleghini di venti anni più giovani neanche si sognano, a Nick si perdona tutto, anche una The Lyre Of Orpheus condita da un inutile siparietto e persino una Into My Arms fatta così, giusto per fare. Ma non è finita. «Do you want more?». Figurarsi. Per chiudere le due ore tonde di spettacolo ci sono Jesus Of The Moon, che credevo potesse dare un brivido in più, e un’esagerata Stagger Lee, canzone sporca, viscida, melmosa, proprio come è diventato il campo di Villa Solaria, Woodstock per una notte, con un grande artista che si è gettato nella mischia con tutto se stesso.
|