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“Dig, Lazarus, Dig!!!” (Mute, 2008) |
Nick Cave & the Bad Seeds “Dig, Lazarus, Dig!!!”
Etichetta: Mute Brani: Dig, Lazarus, Dig!!! / Today’s Lesson / Moonland / Night of the Lotus Easters / Albert Goes West / We Call Upon the Author / Hold on to Yourself / Lie Down here (and Be My Girl) / Jesus of the Moon / Midnight Man / More News from Nowhere Produttore: Nick Launay
Diciamo subito che il quattordicesimo album di Nick Cave & the Bad Seeds non è il loro migliore. “Dig, Lazarus, Dig!!!” a tratti risente delle esperienze del leader come autore di colonne sonore, dilatandosi in cavalcate elettriche e ricompattandosi con sfuriate di palpabile tensione; a tratti patisce le derive rumoriste di “Abattoir Blues/The Lyre of Orpheus” e “Grinderman”, senza far nulla per elevarsi oltre l’annunciata voglia di devastare che non devasta più. Se è dal punto di vista estetico che Cave intende far male, con le chitarre a soppiantare il pianoforte e finti coretti sbarazzini a rimpiazzare i pesanti arrangiamenti d’archi degli ultimi dieci anni, il risultato è mediocre. Lo stesso progetto Grinderman, presentato da più parti come un ritorno ad un suono grezzo e garage, è rimasto nel lettore non oltre il tempo preteso da legittima curiosità. Se, invece, è dal punto di vista tematico che Cave vuole spiazzare, il risultato è senz’altro positivo, essendo tutti i testi di “Dig, Lazarus, Dig!!!” ricchi di spunti e motivi di interesse. Il problema semmai è che, per un paroliere della statura di Cave, questo non rappresenta una sorpresa, non avendo il cantautore australiano mai deluso chi dalle sue liriche cercava emozioni forti – sia che fossero mazze sui denti che spine nel cuore. Preso singolarmente, ciascuno di questi undici nuovi pezzi è un buon viatico per un’avventura a fondo cieco dentro l’uomo di oggi, qualsiasi cosa ciò possa voler dire, tra le sue debolezze, le sue defezioni e i suoi slanci maniacali e superbi. Da un primo singolo (Dig, Lazarus, Dig!!!) che fa tanto maniera ma nondimeno induce al movimento ballericcio e lucida il cervello a canzoni polverose (Moonland, Night of the Lotus Easters) e quasi western (Hold on to Yourself) – di un west apocalittico e deserto – che sollevano la suggestione dal livello di guardia, il disco mostra una band che non teme rivali quanto a professionalità. Warren Ellis si prende tutto l’onere di colmare il vuoto lasciato da Blixa Bargeld, maltrattando alla sua maniera ogni strumento a corda gli capiti sotto mano, Martyn Casey si spella le dita sul basso, creando di volta in volta groove precisi e dal fascino maligno. In cabina di regia, per la terza volta consecutiva, si accomoda e si sente Nick Launay, uno a cui ultimamente non sfugge un fraseggio e tutto porta dentro i binari di un rock adulto e massiccio, su cui Cave può declamare versi eccessivi, slabbrati, splendidi come sempre e – termine usato dallo stesso autore per descrivere la sua ritrovata logorrea – emorragici. La conclusiva More News from Nowhere proprio ad un’emorragia di parole si appoggia per fare dell’autobiografia sentimentale una forma d’arte avvolta nel sarcasmo, con un contrappunto musicale discreto e insieme ipnotico. Come se il Dylan di “Blood on the Tracks” incontrasse l’Iggy Pop di “Avenue B”. Resta attaccata all’ascoltatore la morbosità di Today’s Lesson, ritratto del rapporto misterioso e perverso tra Little Janie e Mr. Sandman, sorta di rilettura della figura di ninfetta nabokoviana ispirata a Cave dal racconto di un sogno fatto da ragazzina da sua moglie Susie: il risultato è uno dei pezzi più destabilizzanti mai scritti da Re Inkiostro. [1] La già citata Moonland è una nuova Abattoir Blues, rarefatta e disperata. Al centro del brano si staglia una terra promessa coperta da un cielo solo apparentemente pacificato, che non tarda a rivelare il suo lato nero e a farsi sagoma dell’intima apocalisse del protagonista. [2] E per amor di verità non si tace la bellezza di Jesus of the Moon, il cui testo sembra una pagina strappata al booklet di “No More Shall We Part”, con un uomo che si (ri)mette in strada, in cammino, prendendosi sulle spalle tutto il peso delle sue scelte e rovesciando la comune visione delle cose. [3] Se non si tratta dello stesso uomo cantato in Hallelujah e Oh My Lord, gli è parente stretto. La differenza è che qui la mano di Dio sarebbe inutile e l’unica richiesta metafisica viene fatta per descrivere il volto di donna a cui si dice addio. [4] La classe non è acqua e le belle canzoni in un album di Nick Cave non possono mancare. Stavolta, però, c’è più mestiere che urgenza. Questa smorfia di cattiveria sul volto di Cave non è figlia legittima del suo sentire malato ma soltanto maschera. Che lui, concediamoglielo, sa indossare come nessun altro.
[1] «Janie says we’re all such a crush of want half-mad with loss/we are violated in our sleep and we weep and we toss and we turn and we burn/we are hypnotised we are cross-eyed we are pimped we are bitched/we are told such monstrous lies» (Today’s Lesson); [2] «your eyes were closed/you were playing with the buttons on your coat/in the back of that car/in moonlight/under the stars/in moonlight/and I followed that car» (Moonland); [3] «people often talk about being scared of change/but for me I’m more afraid of things staying the same/cause the game is never won by standing in any one place for too long» (Jesus of the Moon); [4] «will it be me or will it be you?/one must stay and one depart/you lying there in a St. James Hotel bed/like a Jesus of the moon/a Jesus of the planets and the stars» (Jesus of the Moon).
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Pierluigi Lucadei
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Recensioni |
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il 14 Apr 2008 alle 21:37 |
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