L'Etiopia di Francesca
Una gita al parco con i bimbi di un orfanotrofio: momenti di spensieratezza in vite già segnate da terribili storie
19/06/2008 - Da diversi anni le città africane stanno conoscendo un forte inurbamento: a seguito di politiche che non favoriscono le campagne, molti migrano verso le grandi città in cerca di opportunità lavorative ed educative. La popolazione, soprattutto nelle capitali, aumenta notevolmente, anche se molte aspettative vengono disattese e le condizioni di vita peggiorano.
Arrivando in città, le persone perdono quei legami sociali e comunitari che talvolta servono da supporto nei momenti difficili. A Moyale e dintorni, ad esempio, non mi è capitato di vedere orfanotrofi, mentre qui ad Addis sono molto diffusi: ne esistono 34 legalizzati più un imprecisato numero non riconosciuti dal Governo. Ogni orfanotrofio può ospitare dai 30 ai 600 bambini.
Sabato scorso ho partecipato ad una gita con alcuni bambini di un orfanotrofio. L’iniziativa è stata organizzata da una ONG italiana che si occupa di adozioni e cura anche il benessere materiale e psicologico dei bambini ospitati negli orfanotrofi. Ho ascoltato le loro storie. Due sorelline di 6 e 14 anni sarebbero partite per l’Italia circa una settimana dopo, al termine di una procedura di adozione durata due anni durante la quale hanno iniziato a conoscere a distanza i futuri genitori. Le sorelle sono in realtà quattro: una ancora più grande e un’altra invece molto piccola rimarranno in Etiopia e la più grande continuerà ad accudire la più piccola, nata affetta dal virus dell’HIV. A bordo c’era anche una bambina di 5 anni che fu accompagnata in orfanotrofio dalla mamma, malata di AIDS, che non avrebbe avuto nessuno a cui lasciare la figlia una volta che la malattia si fosse aggravata: ha sperato con il suo gesto di evitarle un destino da ragazza di strada.
I bambini sono stati portati in un parco, hanno potuto giocare nel prato facendo capriole e rincorrendosi nonostante le scarpe evidentemente sovra misura; alcuni di loro sono saliti su un trenino, i più grandicelli hanno potuto guidare dei gommoni acquatici. Ho sempre avuto almeno due bambini per mano, in braccio o sulle ginocchia: alcuni di loro si rannicchiavano alla ricerca di carezze e coccole con un’intensità che non ho mai conosciuto. Mi ha anche sorpreso la totale mancanza di capricci: durante il viaggio di ritorno, una bambina di un anno e mezzo si è addormentata sul sedile semplicemente appoggiando la testa sulle sue gambine, senza seggiolini, né cintura, mentre intorno i suoi compagni saltavano e chiacchieravano.
I bambini erano abituati a dividere tutto: quando ricevevano una gomma da masticare, la dividevano in due o tre per darla poi anche agli altri. Un bimbo di due anni, particolarmente goloso, appena ha ricevuto la sua porzione di caramella, ha riso tantissimo, ha poi srotolato l’involucro di carta molto lentamente con gli occhi luccicanti di gioia e, dopo pochi minuti che a me sono sembrati un’eternità perché temevo che potesse cadergli a terra, se l’è messa in bocca, l’ha masticata e, ogni tanto, se la prendeva in mano come a supportare con la vista la gustosa sensazione. La più piccola del gruppo aveva un anno, non si è mai lamentata per il troppo camminare anche se trovava quasi sempre qualche compagno o compagna disposto a prenderla in braccio. I più grandi volevano assolutamente scattare fotografie e giocare con il cellulare, mentre le ragazzine erano incuriosite dai miei braccialetti: se li provavano e li tenevano al braccio per un po’. (da provincia.ap.it) Francesca Bernabini
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