di Pierluigi Lucadei
La versione inglese dell’album più celebrato dello scorso anno. Un album del quale, in quasi dodici mesi, ho sentito parlare davvero tutti. Da Marco Parente che perorava la causa del messia Agnelli, dipingendo i testi di “Ballate per piccole iene” come qualcosa di molto potente che aveva il merito di arrivare dritto al punto, ad un quarantenne logorroico di Torino conosciuto al concerto degli Eels, che mi ha scorticato gli attributi per mezzora lamentandosi dell’infantilismo degli stessi testi, del loro essere null’altro che noia. Da Giorgio Prette che mi raccontava di come ci fossero molte interpretazioni possibili per le parole del frontman, ad un mio amico iconoclasta per partito preso che definiva quelle stesse parole mosce e piangenti.
La verità è che anche ora che sono celati dietro lo scudo della lingua inglese, i testi di Manuel mostrano chiaramente la loro forza. Ancora orfane dell’ironia che aveva caratterizzato le prime prove in italiano firmate Afterhours, le liriche di “Ballate per piccole iene”, e di conseguenza anche di questo “Ballads”, insistono su certi luoghi comuni come la falsità e la doppiezza dei rapporti interpersonali e così facendo rischiano di risultare ripetitive e ammorbanti. O meglio, correrebbero il rischio se tali temi non fossero affrontati con lacerante impeto e caustico accanimento. Le parole di Manuel dividono in due la stanza. A nessuno verrebbe in mente di mettere l’ultimo disco degli Afterhours come musica di sottofondo, tutte le canzoni costringono a farsi ascoltare con attenzione, sono pugni nello stomaco che non ammettono imperturbabilità.
Di “Ballads for little hyenas” si è già detto e si continuerà a dire che è un altro disco, che le traduzioni l’hanno trasformato in modo inequivocabile. Ma restano le sensazioni, quelle di pelle, quei motivi difficili da spiegare per i quali alcune canzoni sono capaci di farti drizzare i peli delle braccia e altre no. E le sensazioni sono sputate, inglese o italiano conta poco. A me i testi di Manuel hanno sempre comunicato un gran bisogno di buttarsi via. Gettarsi a peso morto nel mezzo del ciclone, nel senso migliore che questa immagine può assumere. Parte del merito va alla sua voce irregolare e straziata, ma versi come «we lie our goodbye/like we don’t know/it’s a silken scarlet simple bandaged/tourniquet to keep the silence secret» danno il contributo decisivo.
Le differenze con la versione italiana sono inevitabili. Spesso sono cambiamenti sottili, sufficienti però a cambiare tutto: «torneremo a scorrere» in Ci sono molti modi diventa «ameremo ancora» in There’s many ways; «sarò già via senza un’idea» in Il sangue di Giuda diventa «sarò già via con le tue idee» in Judah’s blood.
Ballad for my little hyena fa uno strano effetto, sentire montare il pathos, con la slide di Hugo Race che ulula dolore fisico, e contemporaneamente sforzarsi di tradurre parole che avevamo imparato a memoria già dopo il primo ascolto, crea un piccolo fastidio. Stesso discorso per There’s many ways, che sembra la versione ubriaca e stonata della corrispettiva italiana, la quale aveva un impatto molto più devastante. I pezzi che sembrano essersi più avvantaggiati della traduzione inglese sono nel mezzo del disco: White widow ha le carte in regola per essere il singolo giusto, col suo ritmo incalzante e il cantato che pare adagiarcisi sopra con naturalezza; Fresh flesh ne guadagna in epicità e finisce per assomigliare ai brani migliori dei Muse; Sparkle, scomparsi i riferimenti diretti alla cocaina, si fa preferire rispetto all’originale Male in polvere proprio per un approccio più coerente alla commozione dettata dal languore dei suoni («I can make of you/something good to me/I can think that what happened made us free/but I can’t lie about you/to you»).
Infine, “Ballads for little hyenas” ha undici pezzi invece di dieci, perché gli After hanno pensato di riproporre il duetto tra Manuel e Greg Dulli nella cover del Lou Reed di “Berlin” (The bed). L’ex Afghan Whigs è ancora l’anima del progetto e, insieme a lui, va stavolta obbligatoriamente citato l’ex Cousteau Davey Ray Moor, che ha dato un contributo fondamentale alla stesura dei testi in inglese.
Brani: The thin white line / Ballad for my little hyena / The ending is the greater / There’s many ways / White widow / Fresh flesh / Sparkle / Desire froze here / The bed / Judah’s blood / Andrea’s birthday
Produttori: Greg Dulli & Manuel Agnelli
Etichetta: Mescal / Sony
Leggi la recensione di “Ballate per piccole iene” (aprile 2005):
http://win.ilmascalzone.it/re101.htm
Leggi l’intervista agli Afterhours (luglio 2005):
http://win.ilmascalzone.it/cu506.htm
Recensioni – sabato 11 febbraio 2006, ore 15.44