Afterhours
“Ballate per piccole iene”
Etichetta: Mescal
Brani: La sottile linea bianca / Ballata per la mia piccola iena / E’
la fine la più importante / Ci sono molti modi / La vedova bianca /
Carne fresca / Male in polvere / Chissà com’è / Il sangue
di Giuda / Il compleanno di Andrea
Produttori: Greg Dulli & Manuel Agnelli
Se il 2004 per il rock italiano è stato l’anno
dei grandi autori (Benvegnù, Chimenti, Onorato), il 2005 si sta già
configurando come l’anno delle grandi band: nelle ultime settimane hanno
pubblicato nuovi lavori Negrita, Perturbazione, Marlene Kuntz e Yuppie Flu.
Il premio ‘disco più atteso’ spettava però di diritto
al quinto album in ‘madrelingua’ degli Afterhours, vuoi perché
la sua uscita era stata posticipata più volte ed ormai si erano accumulati
tre anni dall’ultimo “Quello che non c’è”,
vuoi per il calibro dei nomi coinvolti (Greg Dulli, John Parish, Hugo Race)
che aveva fatto lievitare non di poco la curiosità.
Ora che l’abbiamo finalmente nel lettore, “Ballate per piccole
iene” ci colpisce con violenza, minaccioso dal momento in cui ha scelto
la via dell’affondo diretto, dice pane al pane e somiglia ad un jab
in pieno volto.
E’ un disco musicalmente omogeneo; come il titolo lascia
intuire, sono dieci ballate che suonano fluide e dolenti, grazie ad arrangiamenti
azzeccati che disegnano conflitti sempre sul punto di esplodere e slatentizzano
tensioni irrisolvibili. In questo mare di suono sono le parole a saltare fuori
cubitali e pesanti come massi. Manuel inventa la figura della iena come metafora
dell’uomo di oggi, invischiato senza scampo nella corsa al tornaconto
malevolo ma vitale (“nel tuo piccolo mondo/fra piccole iene/anche il
sole sorge/solo se conviene”): la iena antropomorfa non esita ad uccidere
e non guarda in faccia nessuno (“per sentirmi vivo/ti ucciderò”)
o si lascia vendere senza riguardi per sé (“lasciandoti fottere
forte/per spingerti presagi/via dal cuore e su in testa/sopprimerli”)
pur di sopravvivere. La convenienza e il tornaconto non risparmiano, anzi
sembrano definirne coordinate e limiti, i rapporti d’amore, che si dipingono
deprimenti e fasulli per tutto il disco.
L’amore secondo Manuel Agnelli:
“l’amore rende soli”;
“non sai che l’amore è una patologia/saprò come
estirparla via”;
“usami amore/usami o muori”.
Che è come dire: solo il più forte sopravvive all’amore,
devi essere furbo e spietato da uccidere l’oggetto d’amore o sarai
tu a soccombere.
Non è un caso che le parole sul booklet siano scritte rosso su nero,
come sangue che zampilla in mezzo al buio di un mondo senza speranza. Come
può esserci speranza nel protagonista di “E’ la fine la
più importante” (“tutto ciò che hai sempre amato/giace
in una fossa/che han scavato/le tue stesse ossa”) o nel fiore cantato
in “Chissà com’è” (“sei diventato un
fiore alto e disperato/perché è il tuo modo di gridar che morrai”)?
“Ballata per la mia piccola iena” è figlia
diretta della clamorosa ballata-meraviglia di tre anni fa, “Quello che
non c’è”, ma se lì il livore era rivolto verso se
stesso qui travolge tutti, la iena è dentro ognuno di noi: canzone
simbolo dell’album tanto da dargli il titolo, con la trovata del battimano
nel ritornello.
Le bellissime chitarre fanno amare “E’ la fine la più importante”,
che ha anche un testo non indifferente, in cui Manuel canta l’autodistruzione
come fosse una forma d’arte.
“Ci sono molti modi” e “Male in polvere” sono nenie
che non si fanno scrupoli a ridurre il cuore a brandelli, le risacche emozionali
del disco.
“Chissà com’è” ha un riff antico sul quale
gli archi si innestano che è un piacere e immagini di desolazione indimenticabile,
come quella del fiore, quella del male (“devo solo comprare ormai/della
seta rossa al mio male/con la quale/farlo stare zitto”) e quella del
cane (“capita di non farcela/come quando perdi/il tuo uomo/o il tuo
cane”).
“Ballate per piccole iene” è un album da
cui si può rimanere sfigurati, soprattutto se non si è abituati
a prendere in faccia tante cattive verità tutte insieme. Gli Afterhours
non sono mai stati rassicuranti, ma neppure inquiet(ant)i come stavolta.
Puoi non assaggiare per veder se il gusto se ne va o ti devasta: se c’è
una cosa che è immorale è la banalità.
Pierluigi Lucadei
Recensioni – giovedì 14 aprile 2005, ore 22.02