Afterhours: intervista

Un nome una garanzia. Gli Afterhours sono da anni uno dei pochi punti fermi del rock italiano e “Ballate per piccole iene”, arrivato a tre anni di distanza da “Quello che non c’è”, non ha deluso le attese: un mix perfetto di scossoni chitarristici, irresistibili nenie e testi al veleno. Brani come “La sottile linea bianca” e “Il sangue di Giuda” sono già dei classici e il tour che ha accompagnato l’uscita del disco ha registrato ovunque il tutto esaurito. Tutto è pronto per il mercato internazionale: forti dell’appoggio dell’ex Afghan Whigs Greg Dulli, gli Afterhours pubblicheranno dopo l’estate la versione inglese di “Ballate per piccole iene” e tenteranno di far conoscere anche all’estero il loro rock diretto e viscerale. Abbiamo incontrato Giorgio Prette, batterista storico della band.

Il Mascalzone: Recensendo “Ballate per piccole iene” ho scritto che gli Afterhours non erano mai stati così inquietanti. Sei d’accordo?

GP: E’ una cosa che ho sentito più volte. Io onestamente non ho quest’impressione. I testi di Manuel (Agnelli, cantante, chitarrista e autore del gruppo, ndr) certo non sono leggeri, ma io mi soffermerei sul modo in cui li ha cantati. Dice cose scure ma per il modo in cui le ha cantate è come se fossero prese con serenità, questa è l’atmosfera che si respira per tutto il disco. L’atmosfera di ogni disco è influenzata dal periodo e dal modo in cui il disco è nato, noi il picco di difficoltà l’abbiamo avuto con “Quello che non c’è”, stavolta invece è stato tutto molto sereno e spontaneo. Andare a lavorare a Catania, lontano da casa, è stato importante e, in qualche modo, ci ha sbloccato. Poi un contributo importantissimo all’atmosfera del disco l’ha dato Greg Dulli. Lui è uno con un’esperienza della madonna, ha fatto grandi cose in un periodo, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, in cui in America c’era un grande fermento, e ci ha tolto un sacco di insicurezza.

Il Mascalzone: Eppure le canzoni dell’album creano nell’ascoltatore sensazioni tutt’altro che rasserenanti. Per esempio, non trovi che la visione dell’amore cantata da Manuel sia agghiacciante?

GP: Io e Manuel non ci confrontiamo mai sui testi, io non gli faccio mai domande. Certo in versi come “non sai che l’amore è una patologia / saprò come estirparla via” io non riconosco il mio genere di esperienza, però è anche vero che i testi sono scritti in modo aperto, non hanno mai un significato univoco e la mia interpretazione è soltanto mia e può benissimo non corrispondere alla tua.

Il Mascalzone: Che tipo di amicizia è nata tra voi e Greg Dulli?

GP: E’ stata una cosa nata per gradi. Manuel l’aveva conosciuto in America tramite un amico comune, prima come persona che come musicista. Poi abbiamo fatto il tour con i Twilight Singers e già dopo la prima data tra le due band è scoccata la scintilla. Da lì si è sviluppata la nostra amicizia, lui ha accettato di partecipare al nostro album e alla fine ha avuto un ruolo determinante nel risultato finale di “Ballate per piccole iene”. Greg aveva sempre tante idee, ha composto, arrangiato e inciso con noi, poi era bravissimo a creare un ambiente ideale, portava candele, del buon vino, dei calici. Si è inserito in noi, ma senza mai pensare di cambiarci.

Il Mascalzone: Cosa puoi anticipare della versione inglese di “Ballate per piccole iene” che uscirà dopo l’estate?

GP: E’ un altro disco. Innanzitutto perché i testi inglesi, nonostante uno scheletro comune, non sono una traduzione letterale di quelli italiani. La parte vocale è molto importante, e l’inglese fa suonare in modo diverso tutto il disco. Inoltre sono state fatte delle correzioni a livello di sound in fase di masterizzazione finale. Ho l’impressione che la versione inglese sia più aggressiva.

Il Mascalzone: C’è una canzone degli Afterhours a cui sei legato in modo particolare?

GP: “Sulle labbra”.

Il Mascalzone: E una canzone che ti fa venire i brividi ogni volta che la suoni?

GP: Sicuramente “La sottile linea bianca”. All’inizio pensavo fosse dovuto al fatto che la canzone era nuova, però mi rendo conto che c’è tuttora qualcosa di molto speciale ogni volta che la suoniamo. Forse non è un caso che “Sulle labbra” e “La sottile linea bianca” sono le prime canzoni che abbiamo composto nei rispettivi album.

Il Mascalzone: Riguardo alla polemica in cui siete rimasti coinvolti sulle pagine di Musica! di Repubblica qualche mese fa, ricordo di essermi irritato moltissimo al posto vostro quando ho letto la dichiarazione di Albertino che diceva “il giorno che gli Afterhours faranno una bella canzone saremo lieti di trasmetterla su Radio Deejay”. Come vi siete sentiti voi?

GP: Innanzitutto “Non è per sempre” è passata più volte su Radio Deejay. Poi c’è da vedere se lui ha veramente detto quelle cose e di questo non sono sicuro, visto che il giorno dopo che è uscito l’articolo mi ha chiamato la giornalista, che si diceva desolata per quell’intervista. A noi avevano semplicemente chiesto di scrivere qualcosa di provocatorio, per una rubrica che aveva proprio quello scopo lì, se poi gli altri hanno detto sul serio quello che era scritto sull’intervista vuol dire che ci sono cascati come dei polli.

Il Mascalzone: Sentite sulle vostre spalle il peso e la responsabilità di tutto il rock italiano?

GP: Questa responsabilità non la sentiamo affatto. Non portiamo il peso del rock italiano sulle nostre spalle, anche se potrebbe sembrare vero il contrario, in quanto Manuel è molto attivo ed è coinvolto in un sacco di iniziative. Semplicemente, sentiamo di avere molto a cuore gli interessi del rock italiano, con un occhio di riguardo a tutte quelle realtà che hanno problemi per trovare spazio.

Il Mascalzone: Cosa puoi dire delle band italiane che cantano in inglese, come One Dimensional Man, Yuppie Flu, Midwest e tante altre? Pensi ci sia spazio per loro in Italia?

GP: Onestamente penso che non ci sia molto spazio. Cantare in inglese è un limite, lo è stato anche per noi all’inizio della carriera ed io ho fatto molta pressione su Manuel perché passasse a testi in italiano (il primo album in italiano degli Afterhours è “Germi”, del 1995, ndr). L’inglese crea un limite di comunicazione, non permette al messaggio di arrivare in maniera così diretta come con l’italiano. Naturalmente, però, c’è l’altro lato della medaglia: quello che rappresenta un limite in Italia è anche un vantaggio per uscire all’estero.

Il Mascalzone: Quali sono i tre dischi fondamentali della tua formazione rock?

GP: “Led Zeppelin II”, “Sgt. Pepper’s“, e il terzo, vediamo… direi “Let there be rock” degli AC/DC.

Pierluigi Lucadei