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Saddam Hussein durante il processo

Cronaca di una morte annunciata

2006-12-30 - A Baghdad erano le ore 6.00 di questa mattina, quando Saddam Hussein è stato giustiziato. L’esecuzione è stata filmata e le immagini sono state trasmesse dalla tv di Stato, da tutte le tv del mondo e sono ora in rete.

L’ex-raìs è stato accompagnato al patibolo da quattro persone, di cui tre con il volto coperto, e prima di morire ha recitato per due volte l’atto di fede islamico. Saddam ha rifiutato di coprirsi il volto con un sacchetto nero, che poi è stato usato per avvolgergli il collo. I familiari hanno chiesto di provvedere loro stessi alla sepoltura e che il corpo venga sepolto nello Yemen, ma per ora vige il silenzio sulla sua tumulazione.

Manifestazioni di giubilo a Baghdad e nelle aree sciite, approvazione da parte dei nemici, ma anche tanta disapprovazione. Nella città sciita di Kufa stamane è esplosa un’autobomba in un mercato, causando 30 morti e 40 feriti. Nella zona di Falluja si denunciano disordini.Sami al Askari, un alto esponente sciita, testimone dell’impiccagione, ha riferito che la procedura dell'esecuzione è durata circa 25 minuti: il corpo di Saddam è rimasto appeso per dieci minuti prima che il medico legale ne constatasse il decesso. La rete televisiva Iraqiya ha diffuso la notizia che Saddam Hussein è stato impiccato con la stessa corda che veniva usata per giustiziare gli oppositori del regime baathista, quando egli era al potere.  

Questi!! I dettagli di una tortura che segnerà la storia.  

Quanto conta l’ora in cui è avvenuto il decesso?
Quanto contano le testimonianze di chi era presente o i desideri rivelati dalla famiglia del condannato?
A chi importa se il sacco nero è stato avvolto intorno alla testa o intorno al collo?
La durata dell’esecuzione o le ultime parole del condannato fanno davvero parte della Storia?

Nulla di tutto questo conta, né farà la differenza…  

Eppure sono i fatti a cui si è dato più risalto in queste ore. 

Sono state rilasciate interviste dai Capi di Stato, dai Ministri di Chiesa e da quelli laici… echi da tutto il mondo in opposizione alla condanna o concordi con essa.  Qualcuno si dice preoccupato all’idea che l’impiccagione possa fare del tiranno un martire, altri hanno paura di un escalation di violenza, altri ancora profetizzano sciagure in Iraq e si appellano alle Nazioni Unite… non manca chi farebbe meglio a nascondersi dietro il silenzio stampa e invece parla di “giustizia” compiuta. 

Tutti pareri, oserei dire “contestabili”, che evadono dalla realtà dei fatti.

Oggi, 30 dicembre 2006, si aggiunge una pagina al Libro della Storia, in esso vengono raccolte: le scoperte, le invenzioni, i guizzi dell’ingegno, le opere d’arte, i disastri naturali e in una sezione più grande dell’altre, ahimè, il venir meno della ragione. È lì che ogni generazione va a cercare testimonianze di guerra, i compromessi (talvolta sanguinari) a cui scendono i potenti, i disastri compiuti in nome del progresso, le vendette, i silenzi che necessitano di sacrifici umani e a cui solo il tempo riesce a dar voce… è lì che, a partire da oggi, ci dobbiamo confrontare con questo errore.

Non intendo attraverso queste poche righe fare del moralismo, né tantomeno credo che la mia opinione valga a qualcosa, ma dopo aver visto il video dell’esecuzione, ascoltato numerosi tg, letto il mio quotidiano di sempre… ho avuto l’impressione che sia stato detto/scritto tutto fuorché il necessario. 


Non sono nessuno, ma ho questo spazio per dire la mia e l’avrei detta così…
 

Saddam Hussein nasce nel piccolo villaggio di Al Awja, vicino alla città di Tikrit, il 28 aprile 1937, e la Corte di Giustizia dello Stato in cui ha regnato per 23 anni lo condanna alla pena capitale per crimini contro l’umanità nel 2006. L’esecuzione del raís avviene il 30 dicembre 2006.

Si sollevano ventate di protesta in Medio Oriente, mentre gli sciiti, suoi perseguitati, festeggiano davanti alle telecamere di tutto il mondo.

Saddam è stato acclamato e contrastato, ha sterminato i propri nemici e instaurato un potere personale fondato sul ricorso alle armi.

Può la sua condanna a morte rendere giustizia ad una nazione oppressa dalla violenza?!

L’impiccagione odierna è un atto di barbarie che si somma a tutti quelli commessi o mandati da lui in nome della patria, della religione o del regime.

Non è stato compiuto nessun passo avanti, sebbene si ha l’impressione di avere un nemico in meno contro cui scagliarsi. Nessuno dovrà più temere le sue mosse, i suoi agguati, le sue leggi… ma dobbiamo temere comunque noi stessi, perché come uomini abbiamo sbagliato quanto lui.

Non è stato l’Occidente a dettare la sentenza, ma sono stati i nostri contingenti a catturare Saddam nel 2003 e a consegnarlo al suo Paese, sicuri della sentenza che poi c’è stata. Non nascondiamoci dietro al silenzio, ai moralismi vuoti… oggi siamo tutti buoni e i nostri Capi di Stato rilasciano interviste in cui esprimono il proprio dissenso per la pena di morte.

Ma non c’era davvero nulla che si potesse fare prima di consegnarlo alle autorità irachene?
Siamo sicuri di non esserci lavati le mani per paura di una minaccia ai nostri assetti nazionali o internazionali?
Non poteva, l’ex dittatore essere giudicato dalla Corte di Giustizia Internazionale?...
 

Nel mio piccolo, non vorrei dare risposte inopportune, ma spesso sollevare una domanda vale più che a rispondere. Allo stesso modo, mi sarebbe piaciuto che Saddam avesse continuato a vivere, non perché fosse un uomo giusto, ma perché il tempo lo avesse riempito di dubbi, lo avesse assalito di domande nel sonno e nella veglia, perché gli avesse dato l’opportunità di comprendere e imparare dagli errori… perché un giorno, più vecchio e più stanco di quanto oggi le immagini non lo abbiano mostrato, si fosse rivolto al suo popolo e al mondo con gli occhi colmi di rammarico. 

Quegli occhi ci avrebbero insegnato qualcosa. 

Non è stato un atto di giustizia usare i suoi stessi metodi, è stato, semmai, un atto di sottomissione. Era il sistema a dover morire, non la persona.    

“Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio”  (cit. Dei delitti e delle pene, Cesare Beccaria, 1764)  

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 Maria Lucia Peroni

Primo Piano

Editoriali

 Articolo letto 3591 volte. il 31 Dec 2006 alle 18:51
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