L'Etiopia di Francesca
Lo scambio di impressioni con persone di altre nazioni aiuta a rimettere in discussione le proprie abitudini.../7
13/12/2007 - Ho conosciuto qualche giorno fa un altro collega etiope il cui ruolo qui a Moyale è di gestire la logistica: si chiama Samuel ed è da poco rientrato dall’Italia dove ha trascorso circa un mese per frequentare un corso di formazione. È molto interessante scambiare con lui impressioni sui nostri Paesi, in particolare su ciò che è sembrato più inaspettato a entrambi.
Samuel si è stupito di come, nelle città italiane, la maggior parte delle persone cammini da sola, magari portando a spasso il cane. Se si incontra qualcuno, si accenna al massimo un saluto. Mi ha raccontato che, tra le tante belle cose dell’Italia, ha apprezzato in particolare che ogni strada ha un nome, quindi con una cartina in mano è estremamente facile raggiungere qualsiasi posto. Se però ha avuto bisogno di chiedere informazioni per strada, ha notato che le persone all’inizio reagivano un po’ timorose, quasi sobbalzando: Samuel lo spiega con il fatto che gli italiani sono abituati a rimanere soli e a non essere fermati. Superato il momento di sorpresa, però, dice di aver sempre trovato persone molto disponibili. Così, per evitare imbarazzo a se stesso e agli altri, ha deciso di chiedere informazioni solo a persone che si trovassero in gruppo.
Qui a Moyale a volte è difficile riuscire a terminare un discorso mentre si cammina o mentre si beve un cafè in un locale: io e gli altri due volontari siamo continuamente fermati da persone (soprattutto da bambini, giovani e uomini) che vogliono conoscerci o salutarci, scambiare due parole, sapere se siamo quelli di LVIA (ONG all’interno della quale collaboro). Qui le persone sono molto espansive: camminano in gruppi, gli uomini che si considerano amici e fratelli si tengono per mano, mentre le donne in vesti colorate o dietro i loro veli chiacchierano tra loro e ogni tanto scoppiano in allegre e fragorose risate. Bambini di tutte le età si muovono in gruppo, i più piccini sulle spalle delle sorelle più grandi, e organizzano partite di calcio anche se sono una trentina, cosicché tutti siano coinvolti.
Queste attenzioni continue mi fanno sentire un po’ VIP ma soprattutto a disagio: all’inizio attribuivo questo comportamento esclusivamente al fatto che fossi nuova e che, in quanto unica donna “ferenji” (straniera) tra quelle che lavorano qui, attirassi facilmente le curiosità dei locali. Piano piano, ho compreso che se ciò è vero, altrettanto lo è la spiccata socialità insita nel carattere etiopico, e africano in genere, che li porta a cercare continuamente contatti con altre persone, anche solo per scambiare due parole e apprendere così qualcosa sui luoghi di provenienza dell’interlocutore.
Questi confronti sono utili a capire che abitudini che diamo per scontate sono in realtà ovvie nel contesto e la cultura dei luoghi da cui proveniamo: il disagio che io provo per comportamenti che qui sono usuali mi aiuta a immaginare come possano sentirsi le persone che per la prima volta mettono piede in Italia, soprattutto quando arrivano piene di aspettative. (da provincia.ap.it) Francesca Bernabini
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