L'Etiopia di Francesca
Ancora nuove esperienze che ribaltano convinzioni acquisite: i bambini hanno paura dei "bianchi" e la plastica regna sovrana/6
6/12/2007 - Arrivati a uno dei villaggi del progetto, ci si sgranchisce un po’, si beve un altro sorso d’acqua ormai calda e subito accorrono timorosi alcuni bambini. Se in Italia per spaventare i più piccoli utilizziamo l’espediente dell’uomo nero, nei villaggi che ho visitato si fa altrettanto ma ribaltando l’immagine: qui a far paura ai bambini è l’uomo bianco ("addanki" in garri), donna bianca inclusa. Mentre i miei primi tentativi di dare la mano a qualche bimbo fallivano miseramente, le donne per gioco mi avvicinavano i loro piccoli che subito piangevano e terrorizzati scappavano tra le ampie gonne (prolungamento del velo) delle loro mamme, mentre quest’ultime ridevano... Ogni volta che mi voltavo, frotte di bimbi indietreggiavano di qualche passo, guardandomi con circospezione e lasciandomi in uno stato d’imbarazzo e incertezza.
Mi sono arresa e sono entrata in una casetta di fango all’interno della quale una signora stava allestendo per il nostro pranzo un piccolo tavolino e delle seggiole di plastica. La plastica! Io non me lo aspettavo, ma è ovunque… i contenitori con cui si raccoglie l’acqua, quelli in cui si conserva il latte, tavoli e sedie in locande improvvisate, bacinelle per fare il bucato o per spennare i polli, sacchetti di vario tipo con cui si trasporta la spesa, abbandonati nei campi dove bruca il bestiame o nelle strade sulle quali cammino per andare a lavoro. La plastica è proprio parte della vita sociale ed economica di Moyale, tanto in town, quanto nei villaggi delle woreda…
In visita a Chilanko, uno dei villaggi del progetto, ho pranzato con un piatto tipico: spaghetti con patate e carne (e io che credevo che gli spaghetti fossero cibo di pertinenza solo italiana) e ho degustato latte di cammello intero e non pastorizzato (fortunatamente per il mio stomaco diluito con del thè). Successivamente, senza formalità e senza aver chiari i tempi d’inizio e di fine della discussione, ci siamo accomodati all’aperto su panche di legno e seggiole di plastica, all’ombra di una casetta. Gli elder (gli anziani, i capi della comunità) hanno quindi iniziato a descriverci la loro attività, facendo emergere problematiche e opportunità. A partecipare c’erano anche altri signori, donne e bambini e ogni tanto si sentiva qualche voce che esprimeva la propria opinione. Buona parte della comunità in quel momento si trovava lì, la maggior parte in piedi e sotto il sole: qualcuno aveva un ruolo più diretto, altri erano lì soprattutto per curiosità. Di bambini ce n’erano tanti anche durante le discussioni e, abituandosi alla mia presenza, alcune bimbe hanno avuto il coraggio di allungare la manina per stringere la mia e poi ridendo sono scappate via. Dal modo in cui alcuni si mettevano bastoncini sul naso all’altezza degli occhi e facevano cerchi con le dita, ho immaginato che trovassero anche abbastanza strani i miei occhiali da vista, cosa che creava un certo divertimento nelle loro madri e pure in me.
In un altro villaggio invece sono stata accompagnata per tutto il tempo da risolini di donne e bambini: la mia collega etiope mi ha spiegato che lì non erano abituati a vedere donne indossare pantaloni e che credevano che portassi una parrucca, perché i miei capelli erano strani. La sua spiegazione mi ha fatto venire in mente la prima volta che qui a Moyale ho visto donne con il velo e con il burka e molti dei loro mariti andare in giro indossando una gonna: anche a me loro erano sembrati strani…..
Anche la sera, quando abbiamo disteso i nostri sacchi a pelo sotto una tettoia in lamiera, i bambini, alcune donne e degli anziani sono rimasti ad osservarci a lungo e qualcuno è venuto anche salutarci, almeno finché non è tramontato il sole ed è spuntata la luna piena… è stato in quel momento che ho realizzato che in tutta la giornata non ero mai rimasta sola, neanche per un millesimo di secondo. Dentro il mio giaciglio, ad un’ora improbabile per andare a letto (ore 19:30!), ho smesso di sentirmi tanti occhi puntati addosso e ho ascoltato le voci delle famiglie dentro le casupole vicine: le preghiere, i canti, le discussioni. Alcune case erano illuminate da una lampada a cherosene, come quella che avevano dato anche a noi, mentre la maggior parte era al buio.
La notte successiva ho dormito invece nel mio letto a Moyale town, per risvegliarmi la mattina con una strana sensazione di prurito al piede: una zecca infatti vi aderiva nutrendosi, data la dimensione dell’animale, da tutta la notte. Qui a Moyale ho imparato anche a togliere le zecche, facendo in modo che la testa non rimanga dentro per non creare infezioni… (da provincia.ap.it)
Francesca Bernabini
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