Il Cameroun di Alice
Seconda parte del racconto della giornata in "brus", villaggi senza strade, a contatto con povertà e malattie/4
24/12/2007 - (..continua) Abbiamo poi visitato altri casi: un ragazzo sordo a cui Abel sta insegnando il linguaggio dei segni e a scrivere, due ragazzini con ritardo mentale ed una signora con problemi di schizofrenia. Verso le 13,00 ci siamo fermati all’ombra di un albero a bere la “buil”, pasto che solitamente viene dato ai bambini al mattino perché è molto energetico. E’ composto da acqua, farina di miglio, arachidi e riso, ha la consistenza di una crema, solo un po’ più liquida, e devo dire che non è niente male. Dopo aver ripreso le energie siamo ripartiti sulle strade di questa magica Africa, con il sole in faccia e la terra alzata dalle moto che si attacca sulla pelle.
Abbiamo visitato un signore a cui è stata amputata una gamba ed altri tre bambini con ritardi mentali e fisici. Tutti con noi sono stati molto ospitali, ci hanno fatto subito accomodare su una piccola panca di legno o per terra sulla nat (tappeto fatto di paglia o fili di plastica intrecciati). Le loro case vengono chiamate bucarò, sono fatte di sterco, fango, con il tetto in paglia, ogni bucarò è una stanza, quindi solitamente c’è né uno dove dormono ed un altro per la cucina, un piccolo cortile esterno dove ci sono le galline, le capre e dove si svolgono tette le attività domestiche della giornata. La vita qui inizia all’alba verso le cinque, gli uomini partono per andare a lavorare nel campo e le donne per andare a prendere l’acqua e poi nei campi, spesso fanno ore di cammino per arrivare a destinazione e rientrano verso le cinque del pomeriggio con il calar del sole. I bambini o gli ammalati restano soli a casa, per cui non sempre fanno gli esercizi di riabilitazione che gli vengono assegnati, quindi i miglioramenti hanno dei tempi molto lunghi. Il lavoro di questi due agenti è durissimo e le gratificazioni non sempre arrivano, anzi spesso arrivano delusioni, ma per ogni piccolo miglioramento la gioia è talmente grande che cancella ogni fatica e delusione avuta. E’ stata una giornata molto faticosa, ma fantastica e mi è servita per comprendere un pò cosa vuol dire vivere e lavorare in Africa dove le avversità sono tante. La loro naturale semplicità in tutto quello che fanno è sorprendente. Immaginate che tutto questo lavoro di riabilitazione e medicazioni viene fatto in mezzo al nulla, tra mosche capre e galline, non puoi girarti e chiedere un’altra garza perché quella che avevi in mano ti è caduta, o chiedere una crema più forte perché la piaga che stai curando è peggiorata o un antidolorifico per il paziente, hai a disposizione le poche cose che riesci a portare nelle zaino e che sono basiche per tutti, come il betadine ed altre cose di questo genere, anche perché è quello che riesci a trovare qui, quindi devi essere sempre attento e parsimonioso, nulla va sprecato e tutto va recuperato. A fine giornata abbiamo avuto in regalo dal papà di un ragazzo sordo visitato un bel pollo, che abbiamo deciso di mettere all’ingrasso per poi mangiarlo tutti e quattro insieme. Rientro alla fondazione con il cielo rosso del tramonto ed il pollo appeso a testa in giù sulla luce anteriore della moto. (da provincia.ap.it) Alice Beltrami
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