Il Cameroun di Alice
Il racconto di una giornata in "brus", villaggi senza strade, a contatto con povertà e malattie/3
19/12/2007 - “Brus” è un termine usato per indicare le zone selvagge dove non ci sono strade, cioè tutti i villaggi dove vivono i camerunesi. Qui, nell’estremo nord, c’è un'unica strada asfaltata che collega il nord del Cameroun con il Ciad e la Nigeria. Poiché la fondazione svolge attività di sostegno e riabilitazione per i disabili anche dal centro abitato, sono andata con Laura e i due agenti che si occupano dei casi a vedere il loro lavoro nei villaggi.
Nel dipartimento di Mouturua, la città di riferimento (circa mezz’ora di strada asfaltata da Mouda, dove vivo) sono stati censiti dalla fondazione sessanta villaggi in brus: tra questi, dieci, sono quelli in cui vengono svolte le attività di sostegno con i due agenti. Abel si occupa di cinque villaggi, visitando circa una decina di casi al giorno, così ognuno viene visitato almeno una volta a settimana per un’ora. Silvestre invece è fuori dal lunedì al venerdì perché i suoi villaggi sono più lontani e sarebbe impossibile fare avanti e indietro ogni giorno. Ogni villaggio è diviso per quartiere e questi solitamente sono distanti tra loro: non essendoci strade, ogni distanza si raddoppia. E’ indispensabile andare in moto perché ci sono delle zone completamente impraticabili in macchina.
I “casi” nei dieci villaggi sono circa ottanta. Tra adulti e bambini, ci sono diverse patologie: disabili motori e mentali, epilettici, sordi e cechi. Una volta ogni due settimane, Laura va a supervisionare il lavoro dei due agenti: essendoci oggi anch’io, c’era bisogno di due moto ed è venuto con noi anche Silvestre, anche se abbiamo visionato solo i villaggi di Abel.
Partenza alle 7 del mattino, il sole è già alto ma l’aria in questo periodo è più fresca e ci aiuta a svegliarci meglio. Salgo in moto con Silvestre e Laura con Abel. Dopo circa mezz’ora di strada asfaltata, ci addentriamo verso la brus seguendo la strada di terra rossa: intorno a noi solo campi di miglio già raccolto, steppa, qualche albero ancora verde. La strada, quando c’è e non scompare tra il miglio secco, è piena di buche, Silvestre è molto bravo a guidare, ma io non posso fare a meno di sobbalzare sulla sella. Dopo circa un’ora arriviamo al primo villaggio: c’è un bambino con ritardo fisico e mentale, fino a sei mesi neanche camminava, ora cammina benissimo. Abel lo ha spogliato, lavato, gettandogli un po’ d’acqua presa in un catino e poi gli ha medicato alcune escoriazioni che aveva sul corpo. Ovviamente nei villaggi non c’è acqua corrente, non c’è luce, le condizioni igieniche sono pessime. Quindi quasi tutti hanno ulteriori problemi dovuti alla mancanza di igiene: vermi, pidocchi o scabbia nel migliore dei casi. Dopo le medicazioni ed un po’ di fisioterapia per le gambe ripartiamo alla volta del prossimo quartiere.
Qui incontriamo due vecchietti adorabili. Il primo è magrissimo, capelli quasi bianchi e barba, non mangia più, ha la scabbia e si nutre solo di bill bill (un vino fatto con il miglio). Si è ridotto così da quando gli è morta la figlia con un aborto praticato nel villaggio, perché ovviamente nessuno ha i soldi per l’ospedale. I suoi occhi sono allegri di vino, la sua pelle è rugosa. E’ la pelle di chi ha lavorato duramente tutta una vita conoscendo tutte le sue sofferenze e sconfitte, ma di chi è stato costretto a rialzarsi per continuare. Ora che è vecchio e stanco e non ha più sua figlia credo che non abbia più voglia di lottare. Parliamo un po’ con lui mentre Abel cura le ferite che ha sulla schiena e poi ci incamminiamo a piedi per andare a trovare il secondo vecchietto. Questo è più robusto , ma non riesce più a stare in piedi quindi è costretto a camminare con le ginocchia. Appena arrivati Abel gli ha fatto le medicazioni alle ginocchia e un po’ di fisioterapia per le gambe. (da provincia.ap.it-continua...) Alice Beltrami
|