L'Etiopia di Francesca
Arriva il giorno del commiato da Moyale, i suoi paesaggi, le persone: il servizio civile prosegue nella capitale Addis Abeba
29/05/2008 - Questi sono i miei ultimi giorni a Moyale: continuerò infatti il servizio civile in capitale, ad Addis Abeba. Forse, visto dall’Italia non sembra un grande cambiamento, dopo tutto rimango in Etiopia. In realtà Moyale e Addis sono due luoghi molto distanti tra loro e non mi riferisco solo agli 800 km che li separano.
Aver vissuto a Moyale è stato come scoprire un mondo nuovo: sono stata completamente assorbita, a volte anche troppo, da un luogo situato ai margini di un paese geograficamente molto esteso e culturalmente variegato, da una zona contesa e aspra in cui la lingua più parlata non è nemmeno quella nazionale. A Moyale ho dovuto superare le mie barriere: compravo il pane nelle baracche e a volte ci trovavo dentro un po’ di sabbia (viene cucinato vicino al suolo e basta un po’ di vento…), il bagno era fuori casa e abitato anche da qualche animaletto, camminavo per strada e tutti mi guardavano perché ero l’unica straniera in giro, la sera ero l’unica donna in un locale pubblico…
Ho provato sensazioni di disagio, legate soprattuto all’essere donna in questo contesto e al fatto che, non conoscendo in modo approfondito le dinamiche culturali locali, per un po’ ho interpretato ogni comportamento con le uniche categorie mentali che possedevo, quelle “occidentali”. Mi sono quindi pian piano arricchita di nuovi punti di vista che, anche se non possono appartenermi completamente, ho iniziato a capire e discutere con alcune persone, a cominciare dai miei colleghi etiopi.
Osservo alcuni oggetti banali che ho utilizzato spesso a Moyale e che ormai stanno assurgendo a simboli della mia presenza: penso ad esempio alla bacinella di plastica con cui, durante la stagione secca, raccoglievo in giardino l’acqua dal barile. Ma ciò che davvero ha caratterizzato la mia permanenza e che l’ha resa un’esperienza affascinante e indimenticabile sono le persone, in particolare lo staff con cui ho lavorato e le loro famiglie. Confesso che prima della partenza credevo di essere libera da quell’insieme di pregiudizi e stereotipi sugli africani, ma poi ho scoperto che la mia mente ne era ancora infarcita e solo qui ho iniziato a scoprirne l’insensatezza e a liberarmene davvero. All’inizio, se avevo bisogno di aiuto, mi rivolgevo ai colleghi di altri Paesi senza riuscire a comprendere che molte “dritte” potevano derivare solo dai colleghi etiopi. Man mano mi sono resa conto, infatti, che il personale locale era depositario di preziose informazioni e risorse perchè conoscitori della zona, dei suoi problemi, delle dinamiche, sociali e politiche. Lo staff di Moyale, infatti, rispecchiava l’eterogeneità culturale di quest’area: tra i miei colleghi c’erano sia “borana” sia “gherri”, i due principali gruppi etnici che abitano questa zona ma anche persone provenienti dagli altipiani del nord, tra cui “amhara” e dalla zona di Harar. E poi c’erano ortodossi, musulmani e, in misura minore, protestanti… Molti di loro sono cresciuti su queste terre e possiedono quell’insieme di conoscenze che nessuna università può insegnare. Da loro ho imparato ad osservare meglio la città e i villaggi intorno, le loro potenzialità, le caratteristiche fisiche e quelle culturali, il rispetto di certe procedure che, pur se non scritte, hanno comunque un forte valore. (da provincia.ap.it) Francesca Bernabini
Nelle foto: un anziano che si affaccia nella macchina per vedere la "strana donna" e un sopralluogo per valutare la realizzazione di un pond dove costruire un filtro per depurare l'acqua per il consumo umano
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