Claudio Lolli “La scoperta dell’America”
Etichetta: Storie di note Brani: (Il grande poeta russo) Majakovskij e la scoperta dell’America / Bisogno orizzontale / Il secondo sogno / Le rose di Pantani / Poco di Buono / L’eterno canto dell’uomo / Nuovo Carcere Paradiso / Piccola storia di un dio / Medley con rumori rosa Produttore: Pasquale Maria Morgante
Chi cerca l’ascolto facile può lasciar perdere. Occorre prestare orecchio attento alle canzoni di Lolli, rubar loro un frammento di emozione al giorno. Ci sono parole che fanno male, parole che commuovono, parole beffarde, dolenti, cantate con un ghigno, quasi sputate. “La scoperta dell’America” è l’esatto contrario di tanti dischi di oggi, lo ascolti e non puoi fare a meno di riflettere e interrogarti e rinnegare tutto.
Il maestro bolognese torna a otto anni di distanza all’ultimo album di inediti e a trenta anni esatti dal capolavoro “Ho visto anche degli zingari felici”. Torna con dieci canzoni preziose e dure, una più bella dell’altra.
Majakovskij e la scoperta dell’America è una ballata sferzante per chitarra elettrica: dallo sfratto occidentale ai danni degli indigeni al lungo strappo di felicità che accompagna i giorni nostri («se sai strappare anche il cielo vedi/oltre le nubi colorate in rosso/le pianure immense del dolore che ti vive addosso/in cui cammini sopravvissuto/tra dei bagliori sempre più scuri/strappando bacche al terreno/e la gioia ai giorni futuri»), in cui non manca un verso pesante come un macigno («queste lacrime dell’Occidente che si accontentano della vendetta»).
Nel brano Bisogno orizzontale si sente l’eco di chansonnier francesi, Ferrè in testa, con quell’invocazione al sesso («certo che ho bisogno di te/altrimenti sarei normale/uno di quelli che non sanno cos’è/l’infinito del tuo organo genitale») a cui ci si lascia andare giusto un attimo prima del richiamo alla dolcezza («uno di quelli che non sanno cos’è/perdersi dentro una tenerezza/quelli che neanche a un cane bagnato/hanno fatto mai una carezza»).
Poco di buono è dedicata al partigiano Amos Messori, artefice, la notte del 24 dicembre 1944, del sabotaggio del ponte ferroviario di Ivrea che ha salvato la città dal bombardamento alleato. L’eterno canto dell’uomo è invece l’omaggio ai centosessanta morti di Sarno e dintorni, vittime della calamità del maggio 1998 e della miopia dell’uomo, col testo ispiratissimo di Ernesto Dello Jacono.
Tutte le canzoni sono un canto affacciato sulla quotidianità con stupore, orrore e incredulità. La speranza non è persa del tutto, ma è appesa ad un filo lacero sopra fiamme che sembrano essere ovunque («cadevano le bombe dietro la fontana/il cielo era sordo da una settimana/il cielo aveva voglia di cadere al mondo/aveva proprio voglia di toccare il fondo»). Fino all’ultima traccia, che è un medley in cui Lolli recita quattro poesie tratte dalla sua raccolta di versi “Rumore rosa”: esperimento riuscito in cui spiccano le parole dedicate al poeta beat Gregory Corso («però la luce, che ti fa pensare, cucciolo da battaglia senza fionda»).
E quando ascoltate Le rose di Pantani fate attenzione: se non vi viene voglia di stropicciarvi gli occhi e nessun brivido vi scende per la schiena le possibilità sono due, o non avete mai visto una salita del Pirata di Cesenatico o dovreste farvi misurare la pressione perché è molto probabile che non stiate bene.
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