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Dawa, cittadina a est di Addis Abeba

L'Etiopia di Francesca

Il ritorno in Africa dopo un periodo di riposo a casa induce a riflessioni su quanto il "nostro mondo" sia miope e disinteressato a quanto accade "fuori"

09/05/2008 - Sono tornata in Etiopia dopo aver trascorso tre settimane in Italia. Mentre ero in aeroporto in attesa di imbarcarmi, al telefono qualcuno mi ha detto che “noi siamo fuori dal mondo ma la gente non lo sa”. Quel “noi” includeva me, la persona al telefono e coloro che abitano la mia stessa area di mondo. È stata una frase semplice, ma che ha espresso molto bene quello che ho provato durante le tre settimane a casa.

Nei prossimi mesi svolgerò la maggior parte del mio servizio in capitale ad Addis Abeba, non più a Moyale: ma sono in attesa di tornare lì per concludere alcune iniziative avviate prima del rientro in Italia. So che nei dintorni di Moyale è in corso un conflitto sul diritto di accesso all’acqua e alla terra per i pascoli
che coinvolge più gruppi.

Durante le tre settimane in Italia mi è capitato di prendere il treno, di osservare le persone e ascoltarne i discorsi: è una cosa che faccio spesso, ma stavolta alcune conversazioni mi hanno messo profondamente a disagio. In uno di questi viaggi, mentre godevo della vista delle colline italiane belle e fertili e del mare, seduta su poltroncine tutto sommato molto comode in un vagone con riscaldamento, pensavo ai miei colleghi che abitano a Moyale, alle loro famiglie, alle signore da cui vado a comprare il latte e il pane, alle comunità incontrate in villaggi lontani. Mi chiedevo cosa stessero facendo in quel momento, cosa provassero sentendo i colpi di fucile, se i loro bambini fossero spaventati… In treno si parlava della propria vita di tutti i giorni o dei personaggi televisivi in voga. Il raffronto è venuto inevitabile e mi sono chiesta cosa ci sia d’interessante nel seguire vicende sentimentali inventate di personaggi che recitano solo un ruolo, mentre al mondo esistono tante persone che ogni giorno affrontano sfide reali e lo fanno davvero con onestà e coraggio e a cui nessuno però dà spazio.

C’erano anche passeggeri che parlavano in modo generico di coloro ormai classificati come “immigrati”, “clandestini” e altre definizioni meno carine che, in ogni caso, cancellano l’essenza di ogni singola persona. Sono discorsi che mi mettono a disagio perchè basati su stereotipi e pronunciati da chi non ha avuto mai l’opportunità (perché di opportunità si tratta) di parlare con uno straniero. Ho raccontato la mia esperienza ad un signore: “lui” mi ha detto che “loro” sono stati fortunati a trovare me che andavo giù ad insegnare qualcosa: “lui” non si rende conto invece di quanto sia fortunata io ad aver conosciuto loro, a poterci lavorare insieme, ad essere stata aiutata nei momenti di sconforto in un Paese nuovo, ad essere stata accolta nelle loro famiglie, soprattutto nei giorni di festa quando la mancanza da casa era più forte.

“Lui” parlava di “loro” come quelli “che è ora che se ne ritornino a casa”, mentre se capita a me straniera qui in Etiopia di lamentarmi, “loro” mi dicono “Aisosch”, coraggio!
“Lui” parlava dei miei amici, dei miei colleghi, persone che io chiamo per nome, ma non se ne rendeva conto. Perché per “lui” noi “dobbiamo stare qua, mentre loro devono stare là”. “Lui” è fuori dal mondo, nel senso che non capisce che oltre le nostre vite c’è molto altro che non è affatto lontano e che anzi ci interessa tutti; che questo “altro”, anche se molte volte è diverso e può incutere diffidenza e paura, in realtà è qualcosa che merita almeno di essere conosciuto.
“Lui” mi diceva che gli immigrati sono maleducati. Ho risposto che anch’io lo sono stata molte volte, e spesso inconsapevolmente, qui in Etiopia, perché l’essere educati è qualcosa che appartiene alla cultura di un popolo. L’educazione s’impara, io stessa l’ho dovuta reimparare stando qui.
“Lui” diceva, senza conoscerli, tante cose negative di Ibrahim, Amanuel, Adissu, Meles, Samuel, Jamila, Firesalam: persone che io adoro, da cui imparo ogni giorno tanto, e senza le quali non sarei capace di fare granché qui in Etiopia. (da provincia.ap.it)
Francesca Bernabini


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 Articolo letto 1484 volte. il 09 May 2008 alle 00:01
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