Shozo Shimamoto alla Biennale: un colore senza materia non esiste
Se la Biennale di Venezia si tinge di Oriente, un happening diventa carta d’identità artistica nella storia della pittura giapponese del novecento. Domenica 10 giugno il chiostro San Nicolò del lido ha accolto il maestro Shozo Shimamoto per una performance storica e quanto mai attesa: bottle crashed, “bottiglie fracassate”, una delle forme espressive più d’impatto del gruppo Gutai giapponese. Fondata nel 1954 tra gli altri da Shimamoto, Shiraga e Yoshihara, l’associazione d’Arte Gutai (dell’arte “concreta”) rappresenta da più di 50 anni il punto di riferimento a est per l’arte informale occidentale. “Per una messa al bando del pennello” recita il Manifesto Gutai 1957: Kazuo Shiraga diventa per tutti l’artista della materia modellata con i piedi, Shimamoto incarna la quintessenza dell’action painting. Il primo si cimenta nella sospensione ad una corda e nella modellazione di grandi ammassi di colore ad olio che spande con guizzi armonici sulla tela a terra, servendosi delle naturali estensioni del corpo che sostituiscono le “obsolete” setole.Il secondo spara i colori con un cannone, fracassa con violenza sulle tele “molotov” con dentro tutta la tavolozza, o le lascia cadere da un elicottero a gran velocità (helicopter performance). La pittura d’azione fa i conti con la rappresentazione più genuina del colore, la sua matericità, l’estrema sostanza che per il tramite esclusivo dell’artista (e non del pennello) sprigiona la violenza sulla tela; la concretezza che è alla radice del Gutai sta tutta nella forma plastica che il colore assume alla fine, trasmettendo tutta la sua forza comunicativa. Il risultato è così emozionante che l’osservatore è compresso fra eccitazione e timore, esaltato dagli input visivi ma quasi intimorito dalla potenza trasmessa dal quadro, come fosse coinvolto fisicamente nel “bombardamento”, anche perché contribuiscono all’effetto le dimensioni delle tele, fino a quattro metri. Il maestro Shimamoto, benché ottantenne, regala spesso eventi del genere, come nel maggio 2006 a Napoli, quando si fece tenere sospeso in aria da una gru e lasciò cadere le bottiglie piene di colore sulle tele stese in piazza Dante, dando vita alla serie crane performance. Ogni lavoro è diverso dagli altri, ogni combinazione di olio, inchiostro giapponese, frammenti di vetro prende forma battezzato dalla gravità. Con opere storiche in tutti i più grandi musei internazionali, gli artisti del Gruppo Gutai testimoniano da decenni la loro originalità e sono un punto di riferimento imprescindibile per comprendere il fenomeno della pittura informale, fino a far sorgere autorevoli dubbi: tra il ’49 e il ‘50 Shimamoto presenta i primi buchi (Ana), per giungere a carte intrise di colore e squarciate (Esquisse hole): ci ricorda qualcuno?
“…Io credo che la prima cosa da fare sia liberare il colore dal pennello. Se in procinto di creare non si getta via il pennello non c’è speranza di emancipare le tinte. Senza pennello le sostanze coloranti prenderanno vita per la prima volta…” (stralcio dal Bollettino GUTAI n° 6 Osaka, 1 aprile 1957)
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