L'Etiopia di Francesca
Anche portare a spasso il cane o fare un po' di jogging diventano in Africa esperienze difficili da dimenticare.../20
13/3/2008 - Mi sento ormai a mio agio a Moyale e inizio quindi ad osare di volta in volta sempre nuove esperienze: pur essendo l’unica donna straniera nel raggio di chilometri e continuando questo a suscitare molta curiosità, pian piano mi sto comunque abituando ad essere continuamente apostrofata con l’appellativo di “ferenji” (straniero), ad essere fermata e attentamente osservata quando vado a lavoro, faccio spesa o porto a spasso il cane. Quest’ultimo gesto è particolarmente insolito a Moyale perchè molte persone hanno paura dei cani: per di più non sono animali molto amati nella religione musulmana, praticata dalla maggioranza degli abitanti. Quando si tratta quindi di uscire con il cane, sono consapevole che sarò più osservata del solito e ciò comporta che io debba fare molto affidamento su quello che gli inglesi chiamano “self-confidence”, cioè sicurezza di sé. Talvolta mi pare di essere nel film “The Truman Show”: a differenza di quanto accade al protagonista del film, sono consapevole di essere “protagonista di uno spettacolo” ma il paragone rende l’idea della sensazione che provo avendo mille occhi puntati addosso che ovviamente giudicano in base ai propri sistemi culturali.
La scena della “donna bianca con il cane al guinzaglio” finora era la migliore, per sguardi attirati, stupore suscitato e imbarazzo creato nella sottoscritta, ma è stata scalzata da un altro evento per il quale cito un altro film. Avete presente “Forrest Gump”? Ricordate la scena in cui il protagonista corre per moltissimi chilometri e svariati giorni, senza mai interrompere la marcia, senza avere una meta precisa, con tante persone che lo affiancano e lo applaudono dal ciglio della strada? Qualche giorno fa ho vissuto sensazioni analoghe.
Io e il mio collega infatti, cercando di sfruttare quei momenti della giornata in cui c’è ancora luce ma il caldo comincia a essere meno afoso, abbiamo deciso di fare una corsetta per ritemprarci un po’. Siamo usciti di casa, percorso qualche metro prima di giungere alla strada asfaltata e, attraversatala, abbiamo preso una via laterale e cominciato a correre. Nel giro di pochi minuti una schiera di bambini, il cui numero cresceva di passo in passo, dopo averci apostrofato coi soliti “ferenji!” o “you, you”, ha iniziato a correre con noi, seguendoci fino alla fine del percorso ed esibendosi nel frattempo anche in acrobazie varie, ruote e capriole. Lungo la strada le donne che tornavano a casa ci salutavano, così come gli uomini fuori da negozietti e localini che chiacchieravano in piccoli gruppi.
Nel frattempo nuovi scorci di Moyale sfilavano davanti ai miei occhi: li intravedevo tra le case basse coi tetti in lamiera e le siepi vegetali un po’ secche. La terra assumeva colori più caldi, riflettendo un cielo che striava e sfumava tra il bianco, l’azzurro e l’arancio mentre il sole si lasciava andare dietro i bassipiani. Io correvo e pensavo al lavoro che mi aspettava nei giorni successivi, ai rapporti che stavo per scrivere sulle vacche e gli altri animali che camminano a lungo alla ricerca di acqua ed erba ma che cominciano a dimagrire e ad ammalarsi; pensavo all’indagine che sto conducendo sulle resine, importante fonte di reddito per i pastori…
Francesca Bernabini
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