Gillian G. Gaar “In Utero”
Dicono sia l’album più vero di Cobain, chi capisce di cose rock dice che di Cobain “In Utero” sia il testamento. Capita anche di sentir dire che sia il suo disco più legato alla vita, scritto dall’artista in seguito alla nascita della figlia, intriso di fecondità sin dal titolo e dalla copertina. Eppure il titolo avrebbe dovuto essere “I Hate Myself and I Want to Die”, questo lo sanno anche i nonni dei ragazzotti in flanella di quindici anni fa. Di certo è un album artisticamente ineccepibile, che non ha inventato le regole del cosiddetto rock alternativo – nel 1993 tali regole erano già saccheggiate sconsideratamente da ogni band in cerca di gloria – ma le ha impresse a fuoco sul marmo di benvenuto a Seattle, facendo da spartiacque e definendo i confini di un’intera stagione musicale. L’autrice, già consulente progettuale del box set dei Nirvana “With The Lights Out”, ricostruisce la storia delle idee, delle registrazioni, degli scarti, degli scazzi, delle prove, dei problemi piccoli e grandi che hanno portato a “In Utero”. Nelle pagine del libro è percepibile l’atmosfera di attesa e di sovraccarico di responsabilità in cui Grohl, Novoselic e soprattutto Cobain si trovavano immersi, come nella più naturale delle conseguenze del successo clamoroso di “Nevermind”. Leggendo queste pagine e rimettendo “In Utero” nel lettore sembra davvero di rivivere un’altra epoca: di riguadagnare il tempo in cui le canzoni di un ragazzo biondo cagionevole di salute ma dotato di un incendiario talento musicale investivano chi ascoltava con una rabbia che nel rock mai era stata così carica di dolcezza e fragilità, e in cui i suoi testi che attingevano senza scrupoli dai propri mostri interiori (a proposito di “In Utero” Brian Willis di NME disse che “se lo potesse sentire Freud se la farebbe nelle mutande”) lasciavano tutti a bocca aperta. Perché chi conosce bene il rock dice che “In Utero” sia stato il disco con cui Cobain ha annunciato al mondo la sua scomparsa. Noi preferiamo sgomberare il campo dalle analisi gratuite del caso e ri-regalarci un capolavoro.
I wish I could eat your cancer when you turn black (Heart-Shaped Box)
I try hard to have a father but instead I had a dad (Serve the Servants)
Give me a Leonard Cohen afterworld, so I can sigh eternally (Pennyroyal Tea)
Her milk is my shit, my shit is her milk (Milk It)
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