“Il diavolo veste Prada” di David Frankel
La prima impressione che si ha quando si comincia a familiarizzare col personaggio di Miranda Priestly (interpretato da un’algida e perfetta Meryl Streep) è che presto finiremo con l’odiarla: coi suoi capelli bianchi alla Crudelia DeMon, i modi estremamente bruschi e la perfidia mista a piacere che prova quando manda in tilt l’ufficio e i nervi dei suoi collaboratori, l’odiosa mimesi della reale Anne Wintour (direttrice di Vogue America e fonte ispirante del romanzo-sfogo della sua ex collaboratrice Lauren Weisberger) sembra poter tranquillamente essere definita l’incarnazione del male contemporaneo, fasciato in cappotti vintage ed accessori di grido ma pur sempre malefica. In realtà in un film simpatico ma che non sembra possedere quel qualcosa in più, dove il lieto fine e la morale filosofeggiante (abitudini tipiche del cinema d’essai americano) sono sempre dietro l’angolo, Meryl Streep ed il suo personaggio rappresentano l’unica vera attrattiva. Miranda Priestly incarna sicuramente tutto ciò che vorremmo essere: se ad attrarci non sarà lo stile sempre impeccabile e la venerazione continua alla quale è sottomessa, a fare breccia nei nostri desideri sarà di certo la posizione di potere incontrastato che le appartiene, la capacità di gestire le vite degli altri (o un’intera collezione di moda) attraverso un solo movimento del viso. Per questo si finisce col provare simpatia per Miranda, che diventa un affascinante mostro da criticare con sarcasmo ma anche, perché no, da ammirare; in fin dei conti meglio lei che la massa di mediocri automi che le ronzano intorno per un invito a cena o per una trasferta nella capitale della moda Parigi. Sarà l’eccezionale charme di una Meryl Streep in forma ancora più smagliante quando ad illuminarle il viso è la crudeltà. Sarà la regale bellezza della co–protagonista Anne Hathaway, già principessa Disney, nata appositamente con la sua taglia 40 per indossare gli abiti d’haute couture del film che fanno sospirare le platee cinematografiche ma che con la sua gioventù finisce per far innervosire. Fatto sta che è impossibile resistere a Miranda, capace con un solo "è tutto" di gettare nel panico un’intera redazione, di indossare abiti costosi come se si trattasse di una divisa da guerra, di bandire accessori da sogno alla stregua di pericolose armi da combattimento e di permettersi qualsiasi tipo di richiesta. Non esistono orari per la goffa Andy Sachs, che sogna il giornalismo d’impegno e finisce per subire le torture di un sadico direttore che le chiede il caffè alle sei del mattino e la detesta nei suoi abiti old style. Ma le due, novelle Eva contro Eva, sapranno intendersi dall’alto dei loro tacchi Manolo Blahnik e sull’onda di una complicità tutta al femminile scoprire anche le loro anime, affrante e indaffarate come quelle di tutte le comuni lettrici delle patinate riviste di moda. Nonostante una sceneggiatura alquanto leggera, che non riesce a trasportare sul grande schermo la spassosa eleganza del best seller da cui il film è tratto, il cast ed alcune scene davvero esilaranti spingono ad un giudizio abbastanza positivo.
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