Il Mondiale delle polemiche
2007-09-27 Che il ciclismo abbia bisogno di pulizia lo abbiamo già ricordato in molte circostanze: occorrono leggi chiare e punizioni severe per chi le trasgredisce. Molto spesso però succede che qualcuno assurga al ruolo di giustiziere e cominci una battaglia senza né capo né coda e che lo faccia essenzialmente per ragioni politiche, o per farsi un po’ di facile pubblicità. È il caso di Patrick Sinkewitz che ieri ha dichiarato di aver ricevuto da Bettini sostanze dopanti nel periodo in cui correvano per la stessa squadra, la Quick Step, dal 2001 al 2005. Dopo la dura reazione del campione del Mondo, il grande accusatore, positivo al testosterone dopo un controllo a sorpresa prima del Tour, ha fatto immediatamente dietrofront, smentendo dichiarazioni che in realtà non avrebbe mai fatto e che sarebbero state travisate dai giornalisti che lo avevano intervistato. Quello che però va sottolineato è che nei confronti di Bettini è cominciata una vera e propria gogna mediatica, specialmente da parte dei media tedeschi che lo vorrebbero fuori dalla competizione iridata. Bettini si era già reso sgradito nei confronti dei paladini dell’antidoping per non aver firmato il cosiddetto “codice etico”, un documento che sanciva condizioni durissime per tutti i ciclisti che fossero stati scoperti ad usare sostanze illecite. Bettini, che mai in carriera è stato al centro di inchieste riguardanti il doping, non ha firmato questo provvedimento perché considerato troppo duro e irrispettoso della privacy dei corridori. Al di là della decisione, comunque opinabile, del campione livornese è opportuno ricordare che Bettini si è sempre sottoposto agli stessi controlli effettuati sugli altri ciclisti risultando sempre pulito e che molti corridori in qualche modo “chiacchierati” si sono invece apprestati a firmare il codice etico con tanto di interviste e servizi giornalistici al seguito. Morale della favola: se Bettini non è obbligato a firmare il codice etico dai regolamenti internazionali, non lo si può criticare né tantomeno pensare di allontanarlo dal Campionato del Mondo di Domenica. Intanto la Procura di Stoccarda ha voluto sentire i legali di Bettini per avere delucidazioni su questa mancata firma. Quello che davvero stupisce sono le dichiarazioni del ministro degli Interni tedesco, che ha “minacciato” la sospensione dei finanziamenti al comitato organizzatore se Bettini e Di Luca correranno, quando invece lo spagnolo Valverde, da tempo ormai considerato molto vicino al famigerato dottor Fuentes, e il tedesco Zabel, che ha candidamente ammesso di aver fatto uso di sostanze dopanti in passato senza mai essere stato punito per questo, saranno regolarmente al via. Per Di Luca la questione è un po’ più complessa: gli si contesta una sospetta frequentazione col medico Santuccione, già squalificato dalla Federciclo per comportamenti non regolamentari legati alla somministrazione di sostanze dopanti, ma solo ieri la Procura antidoping del Coni ha chiesto la sospensione cautelare del corridore abruzzese che vede così in forte dubbio la sua partecipazione alla gara più attesa. Come mai è trascorso così tanto tempo? E come mai queste richieste vengono fatte nell’immediata vigilia di una competizione così importante? Con queste domande non si vuole scagionare a priori un corridore (tutte le indagini devono essere svolte correttamente), ma solo riflettere sull’intempestività di certe decisioni che vengono prese solo quando l’attenzione della stampa è massima, basandosi cioè più sulla risonanza mediatica globale che non sull’effettiva necessità o utilità delle scelte da fare. In realtà è giusto precisare che in una tappa del Giro d’Italia vinto da Di Luca sarebbero state riscontrate delle anomalie ormonali che i periti dell’antidoping del Coni avrebbero voluto confrontare con altri test effettuati sul corridore abruzzese dall’Uci, ma l’autorizzazione per questo tipo di procedura non è mai arrivata. È evidente che a darsi battaglia sono non solo i ciclisti per le strade di tutto il mondo, ma anche e soprattutto l’Uci, le varie federazioni nazionali di ciclismo e gli organizzatori delle grandi corse a tappe, per questioni di predominio politico ed economico. Risulta evidente che in queste condizioni certe scelte vengono effettuate spesso in malo modo, senza riuscire realmente a punire chi trasgredisce le regole etiche e morali di questo sport. Basti pensare a quanto è successo nell’ultimo Tour de France: nella classifica finale molte delle primissime posizioni sono state conquistate da corridori spagnoli ed è risaputo che Fuentes effettuava le sue pratiche illecite soprattutto in Spagna. Per quanto vada riconosciuta la bontà della scuola ciclistica spagnola qualche dubbio sorge comunque spontaneo, soprattutto se si pensa al diverso trattamento che è stato riservato a Ivan Basso e ad Alejandro Valverde, due ciclisti che sembravano avere lo stesso grado di coinvolgimento nell’inchiesta: Basso è stato squalificato per due anni, mentre lo spagnolo era regolarmente al via. A sottolineare questo grande desiderio di sensazionalismo, sono arrivate anche le dichiarazioni di Jorg Kopfler, portavoce del comitato organizzatore dei Mondiali, che ha invitato Eddy Merckx, Gianni Bugno, Dietrich Thurau e Rudi Altig, pluricampioni del Mondo attesi a Stoccarda come tutti gli ex vincitori della prova iridata, a non presentarsi in quanto ospiti non graditi, poiché appartenenti ad un epoca in cui nel ciclismo non esisteva ancora (ammesso che adesso esista) una cultura sportiva lontana dalle irregolarità relative al doping. Se non si tratta di una mossa pubblicitaria mirata alla sponsorizzazione del Mondiale non si capisce davvero il senso di queste parole. Intanto, per ritornare alla questione azzurra, in queste ultime ore la partecipazione di Bettini al Mondiale sembra quasi certa, mentre quella di Di Luca è ancora in dubbio, ma in un clima così arroventato è lecito aspettarsi ancora molti colpi di scena.
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