Intervista – racconto al padre Nazzareno dopo la straordinaria performance all’Auditorium di Roma
di Bruno Allevi
ASCOLI PICENO, 2006-10-27 - Secondo gli abituées, la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium di Roma non era mai stata così piena come al concerto di domenica scorsa di Giovanni Allevi. Quando alle 21 compare sul palco - di corsa, in jeans e scarpe da tennis - esordisce per presentare, con spirito goliardico, il primo dei dodici brani previsti dal programma, contenuti nell’ultimo Cd (“Joy”, prodotto dalla Ricordi- SonyBmg entertainment): “Io sono di Ascoli Piceno, nel 98 avanti Cristo Roma assalì Ascoli e la rase al suolo; oggi vengo a prendermi la rivincita, senza guerra né spargimento di sangue, per conquistare i vostri cuori...”. Quindi, inizia a suonare “Panic”, entrando subito in sintonia con il pubblico che si entusiasma all’ascolto dei pezzi più coinvolgenti, ora dagli accenti neo-romantici, ora dai ritmi concitati in cui le mani dai movimenti inafferrabili... evidenziano un insolito virtuosismo. Ogni brano è introdotto dal racconto di ciò che lo ha ispirato, espresso con ironiche citazioni colte che suscitano simpatia.
Al termine, sollecitato dagli spettatori, tra saltellanti uscite e rientri, concede ben quattro bis: “Come sei veramente” (tratto dal Cd “No Concept”, di cui frequentemente si ascolta un frammento nello spot televisivo della BMW), “Jazz matic”, “L’orologio degli dei”, “Qui danza”.
Allevi, con musica evocativa e battute dialoganti bonariamente dissacratorie, ha fatto vivere momenti di grande emozione poetica e di autentico divertimento. Con il suo genere, ormai collaudato, sa dare continuità storica alla musica, attraverso un’armonica simbiosi tra il più nobile e melodico repertorio pianistico del passato e le ricerche linguistiche innovative del contemporaneo. Riesce, così a rivitalizzare pure il jazz. Una scelta soggettiva, saggiamente pop, esaltata da bravura tecnica e appassionata partecipazione. Egli, infatti, esegue, con straordinaria immediatezza e fluidità, le sue composizioni senza leggere lo spartito, anche se ben meditate e scritte sul pentagramma.
Il successo gli viene anche dall’umiltà e dalla spontaneità giovanile, che de-mitizzano la propria immagine. Dunque, evita di ostentare gli studi filosofici e la sua indubbia vocazione naturale. Per giunta, dopo gli applausi riesce ancora a commuoversi... Da queste componenti in-volontarie la sua dilagante popolarità, non solo in Italia e tra le ultime generazioni, ridestando l’interesse per l’arte musicale classica e, insieme, leggera ma non frivola. Ecco allora i diversi servizi che da qualche tempo gli vengono dedicati da quotidiani e periodici; l’invito a trasmissioni televisive di alto ascolto; la diffusione dei suoi album ( “Joy” è il quarto, già al 3° posto della classifica PMI-Nielsen per i Cd più venduti e al 22° in quella Fimi-Nielsen).
Al termine del concerto romano (anteprima del nuovo tour nei teatri delle principali città italiane, che partirà da febbraio 2007) è stato assalito da giornalisti e ammiratori, ma non si è potuto concedere più di tanto, “un po’ per celia”, un po’ perché lo attendeva un altro appuntamento...
Non potendo parlare con lui, abbiamo rivolto alcune domande al padre Nazzareno in procinto di tornare ad Ascoli.
Che impressione ha ricevuto dalla performance romana?
Quando sono arrivato all’Auditorium e ho visto i due serpentoni di persone in fila ho detto a mia moglie: “Tutta questa gente non sarà qui per Giovanni, ma per spettacoli nelle altre sale...”. Una volta entrato, ho avuto la sorpresa del pienone e di una entusiastica rispondenza del pubblico. Non pensavo che un solo pianista potesse avere quel richiamo, come per un’orchestra di vari elementi e un direttore importante. Alla fine non sono riuscito a congratularmi con lui, perché è stato ‘imprigionato’ dal servizio d’ordine e il pullman ripartiva per Ascoli. Un operatore televisivo, non riuscendo ad intervistarlo, quando ha sentito che ero il padre, ha puntato la telecamera su di me...
Quando ha potuto parlarci?
Ero andato a salutarlo prima dello spettacolo, ma sono rimasto con lui per poco, perché - come sempre - era totalmente concentrato sull’imminente esibizione. Al ritorno, mentre passavamo a Caporio, dopo più di un’ora, ho potuto parlargli col telefonino. Era ancora assediato dai fans che volevano conoscerlo o che gli chiedevano l’autografo. Come accadde l’estate scorsa a Locorotondo di Bari - dove aveva ricordato che io ero stato primo clarinetto nella banda di Martina Franca: lo avevano dovuto addirittura ‘liberare’... i carabinieri portandolo via con la camionetta.
Le sembra che il successo abbia cambiato suo figlio?
Assolutamente no! Allora aveva sempre la testa sui libri, ora è immerso nella sua musica e non può permettersi distrazioni. È ancora piuttosto timido e non si dà le arie. Non si presenta in frac, ama vestire casual e rapportarsi con la gente semplice. In altre parole, è uno del pubblico che suona. Per lui la cosa più importante è praticare creativamente la musica, sia pure nel rispetto di certi canoni della classicità.
Quando è iniziato l’approccio di Giovanni alla musica?
La musica è stata sempre di casa..., data la mia professione. Anche mia moglie (che ho conosciuto in un liceo musicale) ha studiato canto lirico e suona il piano e l’organo. Era normale che i nostri figli studiassero seriamente musica. A proposito di Giovanni, mi piace raccontare un episodio significativo. All’età di 4 anni, seduto su un divano, ascoltava due volte al giorno (tre ore al mattino e tre nel pomeriggio), la “Turandot” di Puccini, facendosi leggere dalla sorella Stella, di otto anni, le parole del libretto. Una sera lo portai con me a Grottammare dove, come direttore di banda, feci eseguire brani scelti di quell’opera. Tornando a casa, mi disse: “Ma che hai fatto? L’opera non era così, dopo il primo pezzo veniva...; dopo quello..., veniva quell’altro...”. Insomma, mi accorsi che sapeva tutta l’opera a memoria.
Ha sempre creduto nel suo talento?
Sì, ma non speravo in un successo così travolgente. Devo confessare che nei suoi confronti sono stato anche un severo critico. Qualche anno fa, mentre a tavola si parlava del suo futuro, io sostenevo l’opportunità di optare per un posto sicuro d’insegnante. Lui, che aveva deciso di seguire fino in fondo la sua strada, si arrabbiò e mi rispose in dialetto: “Io l’oro ce l’ho su li mà e su la testa; tu ne lu vuò capì”. Poi prese il piatto e andò a finire di mangiare in un’altra stanza. Oggi non posso che dargli pienamente ragione!