Francesco Lorusso, 1977-2007
BOLOGNA, 2007-03-11 - Si fa in questi giorni un gran parlare di Settantasette. Ricorre infatti l’anniversario dei trent’anni da quel tempo così caoticamente chiaro, così complicato nell’attualizzazione violenta di teorie tutt’altro che confuse: la volontà di cambiare, nel modo estremizzato da una massa studentesca e proletaria alla ricerca di una soluzione concreta al crescente disagio economico e sociale. Trent’anni dunque. Pochi, o forse abbastanza per sentirsi vicini al punto giusto da esigere la necessità di un ricordo fra tutti: Francesco Lorusso.In un mondo di ricorrenze, di accadimenti spesso inutilmente riportati a memoria dalla martellante pressione dei media, uno fra tutti si sente nell’aria di Bologna, oggi, 11 marzo: il ricordo di uno studente marchigiano restato nel cuore di chi condividerà sempre la necessità di alzare la voce contro un sistema oppressivo ed esclusivistico per pochi.Tanto si parla della superficie ruvida di quegli anni. I luoghi comuni si ripetono. Leggo giornali, vedo servizi, ed una pluralità di opinioni riflette in maniera insistente i medesimi aggettivi: quelli di tensione, di guerriglia, di rivoluzione, sfuggendo all’analisi concreta delle tematiche che portarono alla confusione e alla protesta di quegli anni, sfuggendo alla necessità di una pubblica autocritica da parte della classe politica, sempre troppo timorosa nel dichiarare apertamente l’incapacità a leggere ed interrogare (se non nei distretti di polizia) il disagio giovanile di quel tempo (per capire magari che la storia a volte impara). Più preoccupante sembra d’altra parte la paura di un ritorno, il persistere sulla ricerca ostinata di analogie con quel tempo. Forse fin troppo gratuite le preoccupazioni di riportare alla luce una situazione sociale diversa, ritrovandola (nelle classiche approssimazioni di chi vuole dare un nome a tutto) in due minuti di disordine per un Cpt che tutti vogliono chiudere ma che ancora resta aperto. Intanto via Mascarella a Bologna riserva silenzio sulla corona di fiori ad uno studente fermato a venticinque anni e diventato per molti un’icona politica, e per molti l’icona del dovere, da quel giorno in poi, di insistere nel movimento anche di fronte al prevalere di un colpo di fucile. Sul muro del portico che ospita il suo ricordo, una vetrata apre su una piccola stanza chiusa. Dentro, una parete è completamente coperta di prime pagine di quotidiani di quei giorni che con titoli marcati riportano a parole la tristezza e la visione multiforme di un tempo andato. Una targa: “I compagni di Francesco Lorusso, qui assassinato dalla ferocia armata di regime l’11 marzo 1977, sanno che la sua idea di uguaglianza, di libertà, di amore, sopravviverà ad ogni crimine. Francesco è vivo e lotta insieme a noi”. Poi forse un francobollo, magari il titolo di una via, ma solo il ricordo che serva d’esempio, a chi vede in quella morte la privazione di una libertà, o chi la lezione per tenerci a bada.
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