I mille volti di Cate Blanchett, da Dylan a Giovanna d’Arco in Elisabeth I
Cate Blanchett. Una donna dai mille volti, enigmatica, intelligente. Australiana. Appena 18enne fa sua prima comparsa in un film arabo sul pugilato. Nasceva come ballerina e pianista. Studiava economia. Cate molla tutto e si iscrive alla scuola d’arte drammatica. Vince il Golden Globe come miglior attrice drammatica e una nomination all’Oscar per Elisabeth nel 1998 il cui sequel arriva nelle sale in questi giorni con Elizabeth I. The Golden Age. Con The Aviator di Martin Scorzese vince l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Poi arrivano i successi di Diario di uno scandalo e del bellissimo Babel, a fianco di Brad Pitt. Ma è ancora vivo il suo personaggio androgino in I’m Not there grazie al quale, un po’ tutti hanno riscoperto l’anima viscerale del caro vecchio Bob Dylan. Cate è anche Coffee & Cigarettes, Un Marito Ideale e la trilogia de Il Signore degli Anelli. 34 film in tutto. E dopo 9 anni la storia della regina Elisabetta ritorna e rinasce con splendore.
Un tempo di gestazione lungo che ha prodotto grandi risultati scenografici e professionali per Cate. Costumi fastosi, imponenti. Dorati, perlati, di estrema femminilità. Lunghe piume di struzzo color rubino e tessuti di raso color smeraldo. Cate consegna al film uno stile inconfondibile. Geni estroflessi dalla macchina da presa. La figura di Elisabetta travalica il fascino di una Regina in senso lato, per esprimere in un limbo guerriero e corazzato, forza e coraggio quasi felliniano.
L’estremizzazione dell’ideale di donna: mito greco e Capitan Hook. Dea Diana e Venere assieme. Il film ha aperto la Festa del Cinema di Roma nella sezione Première, portando in Italia la corrente struggente e solitaria dell’elogio alla bellezza. Che abbia letto Platone, le antiche caste babilonesi, i Fenici, o semplicemente la poesia e lo spirito della libertà, Cate Blanchett è divina. Se avesse anche amato Calypso o visitato Siracusa, anche Erasmo da Rotterdam avrebbe considerato la sua follia l’elogio più alto. Un film storico, introspettivo, attuale e fantasmagorico. E Cate incarna con intensità quell’amante fedele al suo Cattolicesimo anglicano, difende in ogni modo il suo regno contro l’inquisizione cristiana e senza paura di morire, seppur spaventata alla follia di innamorarsi, non si arrende mai. Piuttosto piange sangue. Ma ancor prima difende il suo popolo celando il suo amore. Con pudore soffre.
Si innamora, di un pirata buono, un conquistatore di mondi lontani, che parte all’improvviso su una flotta alla scoperta di terre non segnate sulle cartine. Lei vorrebbe lasciare tutto, svestire i panni della regina, togliersi dagli obblighi, e abbandonarsi al vento. Alla libertà e all’amore. Tre sentimenti che infrange sulla roccia, gettandoli il più lontano possibile per non farsi traviare. La forza per governare il suo popolo, senza cedere all’infantile tepore, vince. Lei è donna&uomo, impassibile. Dà ordini, impugna il comando e lo fa svestendo i panni della immacolata regina per passare all’azione. Entrerà persino in guerra (nella storia reale no) con un cavallo bianco: angelico e bellicoso nel contempo. Cate sfoggia sul finale un’armatura strepitosa così come negli interni panoramici ripresi dall’alto, le cattedrali gotiche svettano tra i marmi glaciali. Anche i primi piani non si dimenticano facilmente.
Lo sguardo di Cate è polare, la pelle è dipinta con fard bianco, e i baveri di pizzo sembrano due leonesse. La sceneggiata diretta dall’indiano Shekhar Kapur (Le quattro piume) è fedele alla storia. Si impara, istruisce, e piacerà anche agli adolescenti. Peccato gli effetti visivi, inflazionati. Grande orgoglio italiano per i costumi prodotti da una industria romana.
Chiara Poletti
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