IL PERU' DI SERENA
Quando anche la natura di un parco naturale nasconde lotte sociali contro la povertà/33
9/8/2007 - Alcune settimane fa, lavorando nell’ufficio di Elsa, la responsabile dell’area di salute mentale di “Aprodeh” (a volte ci sono problemi tecnici ed io vago negli uffici dei miei colleghi elemosinando “una compu” da utilizzare) mi sono imbattuta in alcune foto che “galleggiavano” nello schermo del suo computer. Elsa mi racconta che le foto sono state scattate vicino Tumbes, al nord del Perù, giusto al confine con l’Equador, l'unico esempio di boschi di paludi nel Paese. Suo fratello da alcuni anni vive in una comunità che si occupa di portare avanti un progetto ambientale legato all’ecosistema dei “manglares”, formazioni vegetali sottoforma di estesi boschi acquatici che costituiscono un ambiente meraviglioso nella zona tra il fiume e il mare. Sono rimasta così affascinata che subito mi sono detta: “Costi quel che costi, anch’io voglio perdermi per alcuni giorni tra alberi e lagune!”.
Partire risulta problematico a causa dello sciopero nazionale che a luglio ha paralizzato quasi tutto il Paese: il malcontento sociale aumenta, la gente scende in piazza, occupa strade, aeroporti, crea disordini per ricevere attenzione da parte del Governo che si dimostra sempre più distante dalla popolazione.
Comunque mi faccio coraggio e prenoto un biglietto per il nord: durante il viaggio gli imprevisti non mancano ma incontro molte persone disposte ad aiutarmi. Sembra che finalmente i peruviani si siano accorti che i turisti sono una risorsa importante per la loro economia e che vanno aiutati. Visito alcune cittadine che si trovano tra Lima e la frontiera, rimango piacevolmente sorpresa dai musei e dalle rovine archeologiche che appartenevano alle antiche civiltà preincaiche come la Lambayeque, la Chachapoya: un altro mondo, di cui ora resta solo un alone misterioso.
Finalmente arrivo a Tumbes, patria della “marinera”(danza tipica) e della cucina marina: “cebiche” (pesce cucinato con limone ed ají), cozze, calamari, un vero paradiso culinario. Approfitto alcuni giorni della spiaggia (e soprattutto del sole che da vari mesi latita a Lima, immersa nel grigio più totale) per poi contattare Julio, il fratello di Elsa.
Ci sentiamo al telefono, raggiungere la comunità dove vive, “El Bendicto”, sembra facilissimo. Venerdì mattina chiedo al gestore dell’hotel se mi aiuta a trovare un taxi per andare a visitare i manglares e lui inventa una storia da film: dice che in quella comunità si rifugiano criminali pericolosissimi e che per una tale missione mi può affidare solo al suo tassista di fiducia. Solo in seguito scoprirò che era tutta una montatura: in primo luogo volevano guadagnare con la turista italiana che, una volta spaventata, è disposta a pagare qualsiasi cifra pur di non correre rischi. Inoltre, i proprietari dell’hotel organizzano visite turistiche in altre comunità di manglares e per questo cercavano di convincermi a non andare: che modo “strano” per eliminare la concorrenza!
Un po’ intimorita, giungo al “Bendicto”, una comunità povera che ricava dal manglar e dalla pesca il suo unico sostentamento. Julio, il fratello di Elsa, mi dà il benvenuto e, aspettando che la marea si alzi per andare ad esplorare l’ecosistema, mi racconta la storia di quella piccola comunità.
Arrivò a Tumbes 15 anni fa con l’idea di restare alcuni mesi per conoscere la zona: quei mesi sono divenuti anni. Il manglar lo ha ipnotizzato e, vista la situazione, ha deciso di restare per difendere quell’ecosistema minacciato dall’ingordigia dell’uomo.
Mi racconta che, quando arrivó al “Bendicto”, la popolazione veniva attaccata costantemente dalle imprese di allevamento di crostacei, “los langostineros”, che stavano distruggendo l’ecosistema di manglar. Il manglar è un albero particolare che vive nell’acqua e diventa habitat naturale di molte specie di pesci che ora, purtroppo, si stanno estinguendo. L’idea dei langostineros era di pagare la comunità con una irrisoria somma di denaro per poter ampliare la propria impresa: ma Julio riuscì ad organizzare la popolazione pe opporsi al sopruso. Negli anni 90’ si sviluppò un duro conflitto che, in alcune occasioni, sfociò in tragedia.
Qui in Perú, sembra che qualsiasi risultato politico, sociale, ambientale debba essere sempre il frutto di una dura lotta, di ribellione ad un sistema che crede di poter ottenere tutto con i soldi: mai avrei imaginato che, dietro quelle foto che galleggiavano nel computer di Elsa, ci fosse una storia tanto complessa.
Ora “El Bendicto” è una comunità che sta sviluppando una tecnica particolare per produrre pesce senza prodotti chimici; allo stesso tempo sta lavorando alla salvaguardia del manglar esistente e alla rigenerazione di parte dell’ecosistema perso. Il signor Julio è responsabile di vari progetti ambientali finanziati dalla Banca Mondiale e da alcuni organismi interamericani, crea corsi di formazione per i ragazzini della comunità e promuove un turismo diverso da quello che si trova ora nei dintorni di Tumbes.
Dopo questo incredibile racconto, salgo su una barchetta con Julio, Gato e “Che” Carlitos, un ragazzino di 6 anni molto vivace e curioso, che diventa per qualche ora il fotografo di bordo. (da provincia.ap.it) Serena D’Angelo
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