Renzo Stefanel “Anima Latina”
Imbattersi nell’arduo e vasto territorio musicale di Lucio Battisti non è certo impresa facile. Imbattersi poi nel suo lavoro meno noto al grande pubblico (“Anima Latina”) ma, per certi versi, più interessante, lo è ancor di più. Già questo dovrebbe bastare di per sé a dar merito a Renzo Stefanel, critico musicale con la penna ironica e passionale, che si imbatte con certosina pazienza proprio in questo compito.
“Anima Latina”, con prefazione di Franco Zanetti, edito da No Reply, è un lavoro corposo, denso, minuzioso. Nulla viene tralasciato. Anzi. Brano per brano, strofa per strofa, “Anima Latina” viene smontato in piccoli pezzi e quindi sapientemente ricucito. Attraverso la voce dei protagonisti. Da Giulio Rapetti, in arte Mogol, a Cesare Montalbetti “Monti”, fratello di Pietruccio dei Dik Dik, che curò la parte grafica della copertina. E passando per coloro che accompagnarono Battisti nei sei mesi di registrazione del disco: Massimo Luca, Ares Tavolazzi, Bob Callero, Gianni dell’Aglio, Claudio Maioli, Gneo Pompeo. Solo per citarne alcuni. Un viaggio tortuoso, non privo di intoppi, di pause. Di false partenze e di incontri scontri che Stefanel, con giovanile entusiasmo e navigata esperienza, non manca di risaltare. Talvolta anche con un velo di sottile ironia, rendendo così le 400 pagine e passa in questione facilmente digeribili ed appetibili. Scivolano giù come un buon bicchiere di vino.
Un’opera coraggiosa, questa di Renzo Stefanel, che si addentra nei meandri dell’universo musicale battistiano, riuscendo con meticolosità e precisione a ricostruirne una tappa fondamentale, la più irta. Ogni singola vicissitudine, ogni passo, ogni aneddoto, viene osservato con minuzia di particolari. A partire da quel famoso 15 giugno 1974, data di inizio delle registrazioni presso gli studi Fonorama di Cologno Monzese, ciò che ci viene mostrato è un dico complesso, soprattutto di studio, non solo per la lunga ricerca di suoni durante la registrazione delle basi, ma anche per la costruzione di alcuni pezzi. Battisti voleva sperimentare. Per l’artista di Poggio Bustone era un’operazione culturale, quasi un esperimento. La risultante di anni di ragionamento, di esperienze accumulate: esperienza e volontà di sempre maggiore comunicazione, chiarezza, espressività da una parte, visione di altri mondi, di nuove civiltà dall’altra. E difatti “Anima Latina” è figlia proprio di un suo viaggio in compagnia dell’amico di sempre Mogol in Sud America. E se è vero come è vero che non è l’uomo a fare i viaggi, ma sono i viaggi a fare l’uomo allora Battisti non poteva non ritornare sconvolto. In senso positivo ovviamente. Prende ed apprende una coscienza di una dimensione altra della musica: come vita, come possibilità di stare insieme, di esprimersi, di comunicare e che consente a chi è “in mezzo alla musica” di parteciparvi. Questa era la sua concezione. Essere partecipi di essa (e quindi vivere, ridere, soffrire, pensare) e non subirla. Ed è proprio tra quella “gente semplice e tra quei suoni genuini” che Battisti recupera il suo spirito creativo mediterraneo. Latino. E così “Anima Latina” diventa in pratica il punto di passaggio definitivo tra il suo “ieri” e il suo “domani”. Certo così facendo l’artista compie una sorta di salto nel buio. Ancor più rischioso per chi il successo lo aveva già raggiunto ed assaggiato. Ma va controcorrente, Battisti. Rinuncia alla propria posizione di “artista”, compie un’opera di demitizzazione. Non per autolesionismo ma per azzerare quella personalità monumentale e quindi umanizzarla, farla partecipare alla vita degli altri. “Quando uno parla in mezzo agli altri, se la sua voce interessa a chi ascolta, viene individuata in mezzo alle altre… questo ho fatto con il mio Lp: ho messo la mia voce in mezzo alla mia musica ed ho inteso stimolare gli altri a capire le parole, ad afferrarne il senso o la sola sonorità; ho inteso stimolare chi mi ascolta a fare attenzione a ciò che sta succedendo, a ciò che accade nel momento in cui si ascolta un brano non perché questo sia piacevole ma perché ascoltare significa qualcosa…” Potremmo dire, azzardando un parallelismo, che “Anima Latina” sta a Battisti come “Creuza De Ma” sta a De Andrè. Si sperimenta. Si provoca. Si rompe anche, se vogliamo, il gesso che blocca e rende statico un certo modo di fare musica. In maniera geniale. Mai banale. Come sostiene, in modo assolutamente condivisibile, lo stesso Stefanel, ciò che rende interessante il discorso è il fatto che Battisti sia passato dal sentimentalismo, dall’effettismo vocale, dalla furbizia nell’uso di certi testi, ad una “forma di creatività musicale che si prospetta oggi tra le poche soluzioni di creatività musicale, in un momento di crisi di idee, di gusto, di significati”.
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