Etichetta: Warner Brani: E così sia / Colombo / Charlie fa surf / Il liberismo ha i giorni contati / L'aeroplano / Baudelaire / L / Antropophagus / Panico! / Alfredo / Dark Room / L'uomo del secolo / La vita va / Ethiopia / Andarsene così Produttore: Carlo U. Rossi
Chi scopre i Baustelle con “Amen” rimarrà affascinato dai mille riferimenti – alti e bassi, colti e popolari – che riescono a convogliare nei testi e da un massimalismo sonoro in cui il vintage sposa in modo invidiabile la modernità. Chi invece segue i ragazzi di Montepulciano da tempo e ha ascoltato e riascoltato i tre album precedenti trarrà probabilmente dal nuovo lavoro la spiacevole sensazione del già sentito. Il segnale d’allarme era venuto da Charlie fa surf, singolo ispirato ad un’opera di Maurizio Cattelan, storia di un ragazzino che assume metanfetamina e paroxetina («vorrei morire a quest’età/vorrei star fermo mentre il mondo va/ho quindici anni»), un ragazzino contro il mondo. Ma i Baustelle non avevano usato una storia fin troppo simile per lanciare il precedente “La malavita”? Il singolo allora si chiamava La guerra è finita e la protagonista era una ragazzina che si faceva di crack («vivere non è possibile/lasciò un biglietto inutile/prima di respirare il gas/…/aveva sedici anni appena»), una ragazzina contro il mondo. Se poi Dark Room vi sembra ricalcare la storia di Io e te nell’appartamento e Colombo vi fa pensare alla versione californiana de Il nulla, forse vi siete messi con l’orecchio incarognito a sgamare difetti e rimandi troppo palesi, ma che un odore di ripetitività pervada l’intero album è innegabile. Francesco Bianconi stavolta sembra essersi fatto prendere la mano e il voler dire troppo ha spesso in musica un effetto boomerang. Quella sensazione di compattezza de “La moda del lento” e soprattutto de “La malavita” viene qui a mancare; “Amen” risulta un insieme di diciassette brani (tantini, no?) che si sono trovati vicini per caso. Baudelaire, che pur vanta un attacco fulminante («Satana è all’inferno per te/ed è più moderno di te»), lascia di stucco con la sua smania citazionista, fino a farsi fastidiosa nel finale prettamente dance. In ogni caso, niente che Morgan e i Bluvertigo non facessero già dieci anni fa. Così come Il liberismo ha i giorni contati resta una pallida imitazione dei Pulp di tre lustri or sono. Poi però arriva Alfredo e di colpo l’intero disco diventa rivalutabile a partire da lì. La tragedia di Alfredino Rampi resa come affresco di un’epoca – i primi Anni Ottanta – in cui la storia d’Italia era in bilico sul bordo di un pozzo, ha lo stesso effetto di una cipolla messa vicina agli occhi. Toccante nel raccontare lo sguardo verso l’altro del bambino («un pezzetto bello tondo/di cielo d’estate sta sopra di me/non ci credo lo vedo restringersi/conto le stelle») e l’impotenza del mondo fuori («intanto Dio guardava il figlio suo/in onda lo mandò/a Woytila e alla P2/a tutti lo indicò/a Cossiga e la DC/a BR e Platini»). Delle troppe cose che ci sono dentro “Amen” resta questo colpo al cuore, resta Alfredo, che si piazza solida nella cinquina perfetta di Bianconi insieme a La canzone del riformatorio, La canzone di Alain Delon, I provinciali e Il corvo Joe.