IL PERU' DI SERENA
La collina su cui sorge il monumento alle vittime del conflitto armato interno tappezzata di fotografie degli scomparsi/36
13/9/2007 - Le foto delle vittime del conflitto armato interno sono entrate nella mia vita nel mese di novembre del 2006, trasportandomi bruscamente in una realtà che non era la mia e insegnandomi a capire la sofferenza causata da quella guerra durata 20 anni. Un dolore che ancora si percepisce tra i volti e le lacrime dei familiari, i quali, nonostante tutto, vanno avanti.
Prima di novembre, mi era capitato di vedere alcuni film in cui signori portavano al collo immagini di persone uccise: mi sembrava “eccitante”, all’inizio, poter partecipare ad eventi simili a quelli trasmessi in tv: un po’ superficiale da parte mia, ma a volte non si prende coscienza immediata delle situazioni. È con quelle foto che abbiamo accompagnato molte attività di sensibilizzazione ed atti culturali ed è con esse che ho terminato il mio lavoro in Aprodeh.
Il 28 agosto si è celebrato il quarto anniversario della consegna dell’informativa finale alla CVR (Commissione della Verità e Riconciliazione) e per l’occasione abbiamo organizzato un evento simbolico nel memoriale “Ojo Que Llora” con l’obiettivo di ricordare alle autorità di portare avanti e far rispettare il lavoro di investigazione e ricerca che impegnò la Commissione per 2 anni.
Su di una collinetta di prato alle spalle del monumento, 500 delle vittime della violenza politica erano presenti: ognuna con una foto, un fiore ed una candela. Sono passati 10 mesi dalla prima volta che ho visto quelle foto: ora, di molti di quei volti, conosco il nome, la storia, i familiari che piangono la loro morte e lottano per avere giustizia. L’emozione è più forte e più autentica.
Nel pomeriggio con alcuni colleghi, ci occupiamo di preparare la collinetta. Alcuni familiari ci raggiungono per dare una mano: il signor R. mi chiede di collocare accanto alla foto di suo figlio quella dell’amico e di un signore coinvolto nel caso e chiede se, ai tre volti, sia possibile aggiungere la frase “sequestrato, torturato, ucciso e bruciato nel sotterraneo del SIE”. Io e Rocìo con un pennarello ed un cartoncino cerchiamo di esaudire la richiesta.
La signora E., una delle familiari con la quale ho più confidenza, ancor prima di salutarmi mi chiede se le abbiamo stampato la immagine in cui suo marito è in giacca e cravatta: le mostro dove si trova (l’ho messo in prima fila, lo so che non si dovrebbero fare favoritismi, però sapevo che sarebbe venuta e che le avrebbe fatto piacere vederlo lì). E’ un po’ delusa perché gli altri giornalisti non sono nella stessa zona. Con l’aiuto di una collega, cerco tutti gli otto giornalisti uccisi nella spianata di Uchuraccay nell’83 e li posiziono vicini. La signora sorride e mi ringrazia.
A poche ore dall’inizio della cerimonia, una componente dell’associazione “Cofader e Jhonatan” e un mio amico mi dicono che non trovano i rispettivi familiari. Controlliamo la lista ed effettivamente non ci sono: è strano, perché entrambi sono casi che Aprodeh sta difendendo. Probabilmente si tratta di una negligenza nostra. La responsabile del centro di documentazione mi dice dove cercare le due foto, così corro in Aprodeh, stampo, incollo e, insieme ai familiari, troviamo una nuova collocazione.
A novembre, probabilmente, mi avrebbero infastidito tante pretese per delle foto: ora no, mi sento in colpa per non aver pensato prima a quelle piccole modifiche e correzioni. Serena D’Angelo
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