La Palestina di Enrico / 10
Viaggio al nord della Cisgiordania/1
Siamo circa una ventina, quasi tutti internazionali, nel vecchio pullman che ci porterà in giro tre giorni nel nord della Cisgiordania. La prima tappa è la città di Qalqiliya, uno dei più vergognosi esempi dell'apertheid che Israele ha realizzato nei Territori palestinesi occupati. Qalqiliya è un ghetto. Il Muro dell’apartheid la circonda su tre lati, isolandola completamente. Rimane solo un accesso, controllato da un checkpoint israeliano: gli abitanti non possono muoversi senza l’autorizzazione dei soldati, rimanendo così privi dei servizi sociali, sanitari, scolastici. Anni fa città fiorente, Qalqiliya esportava i prodotti agricoli in tutta la Cisgiordania. Ora l’economia è in ginocchio e la città deve ricorrere all’importazione per coprire il proprio fabbisogno: alcuni campi sono stati confiscati per la costruzione delle colonie israeliane e del Muro, altri sono inquinati, trascurati o inservibili per vari motivi. Il commercio è soffocato dalle restrizioni al movimento di persone e beni.
Arriviamo al checkpoint d’ingresso alla città. I soldati israeliani entrano nel pullman, ispezionano, domandano: “Che ci fate qui?”. Un soldato dell’esercito occupante chiede a noi (ci sono anche palestinesi) cosa ci facciamo qui! Brusco rispondo, tra le risate dei miei compagni: “Cosa ci fai TU qui?”. Mentre superiamo il posto di blocco il soldato, mitra in bella vista, ci saluta: “Benvenuti in Israele” (siamo in Cisgiordania, secondo il diritto internazionale “territorio palestinese occupato”), col sorriso demente di chi cerca una stupida provocazione. Ognuno di noi avrà ben pensato di mandarlo affanculo nella propria lingua.
Entriamo nel ghetto di Qalqiliya, una delle più grandi prigioni a cielo aperto di tutta la Palestina. L’idea dell’apartheid è assicurare il maggior controllo possibile sui palestinesi col minor dispendio di mezzi: un solo soldato israeliano, infatti, bloccando il checkpoint, può letteralmente chiudere in prigione oltre 40 000 persone. Affiora il terribile senso di angoscia del trovarsi completamente ingabbiati da un grigio muro di cemento armato alto otto metri: solo la consueta, travolgente vivacità del suq (il mercato) ci rincuora un po’. Percorriamo per un tratto, a piedi, il Muro. Bocche serrate, occhi sbarrati. Il passo è pesante e il petto greve. A un certo punto, un fiumiciattolo di acque reflue, proveniente dall’altra parte del Muro, ci sbarra la strada. Fetore tutt’intorno, i campi inquinati dal pantano velenoso, il paesaggio desolante: la Palestina funge anche da discarica per Israele.
Mentre lasciamo la città Yasser, compagno palestinese dell’Alternative Information Center, ci informa che a Qalqiliya è presente l’unico zoo della Palestina. Poi aggiunge sarcastico: “Lo zoo più piccolo è per gli animali, quello più grande per gli uomini”, con gesto largo della mano ad indicare la città-ghetto. La frase che distrattamente avevo notato poco prima sul Muro, “TO EXIST IS TO RESIST”, rivela infine il suo significato, come sentenza di oracolo: in regime di apartheid, soltanto continuare a vivere è da considerarsi gesto eroico. Enrico Bartolomei
Pubblicato il 9/4/2009 alle ore 09:14
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