L’impegno della cantantessa in viaggio verso la tradizione
E’ uscito il 12 maggio il nuovo album di Carmen Consoli, “Eva contro Eva”. A tre anni e mezzo da “L’eccezione” la cantantessa siciliana si presenta rinnovata nel look e nelle motivazioni con un’immensa voglia di far sentire la propria voce e di recuperare l’originalità delle proprie radici.
Il tuo nuovo lavoro, “Eva contro Eva”, rappresenta per molti versi il punto di arrivo di un processo di trasformazione musicale tutto personale: un abbandono del rock che forse già da tempo accarezzavi? A dir la verità sono sempre stata onnivora in fatto di musica. Per anni ho ascoltato il jazz, passando da sonorità blues a sonorità africane ma, fin dagli inizi, ho subito il fascino della musica rock, quella che è nata dal blues elettrificato di Jimi Hendrix. Perché il rock spezzava con la maniera. Rock è l’intervento di Joan Baez a Woodstock. Rock sono i primi album di Joni Mitchell o la grande forza di Dylan. Oggi invece si tende a credere e a ritere che tutto sia rock, basta che ci sia un muro di chitarre elettriche, e per molti perfino Avril Lavigne è rock: oramai è come un vestito che nasconde l’essenza delle cose, è di maniera. Non c’è più attenzione al messaggio eppure per me gente come De Andrè o Nick Drake che facevano del testo la loro forza, utilizzando magari solo una chitarra, sono molto più rock di tanti artisti che oggi si definiscono tali. E io ora ho sentito questa necessità, questa attrazione verso l’acustico unitamente al bisogno di cambiare e non cadere nei soliti clichè, di recuperare le mie radici. Anche a costo di vendere pochissimo o di non apparire sempre e comunque bella: questa è l’attitudine che ho appreso da Janis Joplin. Un album quindi che può essere letto come un viaggio alla riscoperta della tua terra. Hai davvero scoperto qualcosa di nuovo durante questo percorso? Direi proprio di si. Mi sono riappropriata del mio patrimonio genetico, cosa che mi ha permesso di pormi di fronte agli altri in maniera più reale. Un vero e proprio viaggio verso la tradizione, verso il dialetto siciliano che poi ha una forte tradizione linguistica. Per questo ho deciso di dedicarmi allo studio di questo dialetto che ancora negli anni cinquanta era l’unico idioma effettivamente conosciuto dai siciliani. Dobbiamo riappropriarci delle nostre tradizioni e io spero, in questo modo, di ispirare in tutti quelli che mi ascoltano lo stesso desiderio. Evidente è stato il salto da temi più intimisti e personali dei primi album, a temi più scottanti ed impegnati. Credo che anche nei miei primi album emerga questa coscienza, questo lato più politico seppur, ovviamente, in misura minore. Ora più che mai perché la situazione è davvero critica. Un modello di società che si avvicina tantissimo a quello profetizzato da Orwell in “1984”. Siamo immersi in un mondo dalle priorità volgari, dove è più facile pensare alla letterina del momento o al calzino del calciatore, dove il gossip è la nostra religione. Ci stanno praticamente addormentando le coscienze e nemmeno ce ne stiamo accorgendo. Con questo continuo bombardamento di reality attraverso i quali ci inducono a non pensare, a non riflettere su ciò che effettivamente accade nella realtà quotidiana. Credi quindi che la musica possa essere uno strumento di lotta e protesta? Certo. Ma uno strumento di lotta per me stessa. Per cercare giorno dopo giorno di non cadere nelle trappole di questo sistema che, come già detto, tende ad addormentare le coscienze. E allo stato attuale c’è bisogno di lottare perché siamo ridotti proprio ai minimi termini. Io voglio vivere in questo paese e viverci bene. Ma gli ultimi anni di governo non hanno fatto altro che peggiorare le cose, soprattutto al sud. Tanto per fare un esempio, c’è stato un periodo in cui Catania era divenuta un fiore: strade pulite, piene di giovani e di centri ricreativi di artisti come i REM per i quali Catania era divenuta come una seconda casa. Voglio lottare attraverso la musica così come il grande eroe Peppino Impastato, a cui nell’album è dedicata anche una canzone “Ciuri di campo”. Tra le canzoni di “Eva contro Eva” che si inseriscono in quest’ottica, da segnalare soprattutto “Piccolo Cesare”: può essere interpretato come un riferimento a Silvio Berlusconi? No, assolutamente no. Può essere un’interpretazione soggettiva ma la mia, più che altro, vuol essere un’allegoria del sistema politico contemporaneo e delle sue anomalie. Non faccio nessun riferimento a lui, anche se, devo dire la verità, sono contenta che l’Unione abbia vinto le ultime elezioni. Le mie speranze e le mie preghiere fortunatamente non sono state vane. Nel tuo disco, inoltre, soffermandoti su di una realtà soffocante, poni l’accento sull’influenza della Chiesa nella nostra società. Si è vero, questo è sempre stato un grosso problema italiano. Io credo fermamente in uno Stato laico e in libera Chiesa in libero Stato. Attenzione però, laico non vuol dire anticlericale, anzi. Vuol dire lasciare a tutti la libertà di scegliere e di agire come meglio crede. Perché ci devono essere delle leggi che mi dicono o impongono cosa devo fare? La cosa più bella delle religioni è proprio il libero arbitrio. Solo il relativismo può in qualche modo illuminarci dandoci anche la possibilità di prendere ciò che di meglio ci offrono le diverse credenze. Io sono molto legata alle tradizioni religiose o, meglio ancora, all’immaginario che mi ha offerto l’educazione cattolica. Tuttavia non posso fermarmi a questo e di certo la Chiesa non può affatto limitare le nostre libertà. Ci manca solo che tra poco Raztinger ci dica quale posizione del kamasutra sia più lecita! Ovviamente quella che non fa godere! Ed infine una curiosità: hai prima citato artisti fondamentali per la tua crescita musicale come Janis Joplin o Joan Baez. Ma tra i musicisti italiani c’è qualcuno che stimi particolarmente? Beh, c’è ne sono diversi ovviamente. Sono molto affezionata alla musica di Mina o della Vanoni, che parlano di un’Italia molto elegante, quella degli anni cinquanta-sessanta. Mi piace molto anche Nada, soprattutto quello che sta facendo nell’ultimo periodo e Gianna Nannini, artista geniale e sincera. E come dimenticare Paola Turci, una delle voci più belle del panorama musicale italiano. Tra le new entry invece sto seguendo con attenzione L’Aura, anche lei molto in gamba.
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