Enrico, "casco bianco" in Terra Santa
Un altro giovane racconta la sua esperienza in una terra bellissima ma martoriata dal conflitto tra due popoli
Un altro giovane del nostro territorio, Enrico Bartolomei, 25 anni, di Offida, ha scelto di trascorrere un anno come “Casco bianco”, cioè volontario in servizio civile all’estero. Ha scelto di partire per Israele e i Territori palestinesi, proprio in queste ore nuovamente tormentati da un conflitto che sembra non conoscere fine, all’interno di un progetto dell’associazione "Comunità Papa Giovanni XXIII". I "Caschi bianchi" sono giovani tra i 18 e i 28 anni impiegati da oltre 10 anni in missioni di promozione della pace, dei diritti umani, dello sviluppo e della cooperazione fra i popoli. Oggi inizia il suo racconto, ospitato, come accaduto per altre esperienze analoghe in altri parti del mondo, sulle pagine di "Piceno News".
Son arrivato da qualche giorno a Beit Sahour, vivace paese a maggioranza cristiana nel distretto di Betlemme, per collaborare come Casco Bianco alle attività dell’Alternative Information Center. Questa associazione israelo-palestinese promuove lo sviluppo di una coscienza critica in entrambe le società civili, sia attraverso un’informazione dal basso e al di fuori dai circuiti convenzionali, sia appoggiando le iniziative nonviolente di protesta contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Il minimo che posso fare per questa terra meravigliosa è di far partecipe chi lo vorrà delle esperienze e delle emozioni che andrò a vivere in questi nove mesi.
Giovedì 24 dicembre Questo pomeriggio il piazzale davanti al Muro del Pianto è pieno di giovani reclute dell’Israeli Defence Forces (l’esercito israeliano) che prestano giuramento. Sono a Gerusalemme insieme agli altri Caschi Bianchi (Ele, Stella, Virgi), nella città vecchia, luogo meraviglioso e carico di storia dove le vicende e i simboli dei tre monoteismi si intrecciano e spesso si calpestano anche i piedi. Ecco il Muro del Pianto, luogo santo per eccellenza dell’ebraismo, che coincide con la parete occidentale della Spianata delle Moschee, terzo luogo santo dell’Islam. Qualche metro più in là c’è il Santo Sepolcro, che per la tradizione cristiana è il luogo della crocifissione e sepoltura di Gesù. Tanta storia dell’umanità concentrata in un luogo troppo piccolo per uomini disabituati alla tolleranza.
Gerusalemme è una città singolare: è di fatto divisa in una parte “ovest”, prevalentemente abitata da israeliani di religione ebraica, e da una parte “est”, in maggioranza abitata da palestinesi sia cristiani che musulmani. Secondo il diritto internazionale la parte ovest dovrebbe far parte dello Stato israeliano e la parte est di un futuro stato palestinese. Dopo la guerra del 1967 lo Stato di Israele ha occupato militarmente anche la parte est della città e nel 1980 ha deciso di annetterla con atto unilaterale che gran parte della comunità internazionale non riconosce. Si tratta perciò di occupazione militare.
Nonostante sia ordinario da queste parti incontrare forze armate di tutti i tipi, fa sempre una certa impressione quando ce le si trova davanti tutte insieme, quasi a formare un piccolo esercito. Così è oggi: decine e decine di giovani soldati israeliani prestano giuramento alla patria tenendo in una mano il libro sacro (la Torah) e nell’altra la propria arma. Si giura sulla patria, sull’arma e sulla religione. A noi italiani questa cosa ricorda il vecchio slogan fascista “credere, combattere, obbedire”: si sa poi come è andata a finire...
I riti militari mi seccano, e poi voglio andare a Betlemme dove molti pellegrini cristiani attendono impazienti le celebrazioni natalizie. Prendiamo il bus per Betlemme, scendiamo al posto di blocco israeliano che controlla l’accesso ai territori palestinesi, mostriamo il passaporto, sfiliamo lungo una serie di corridoi e cancellate che mi conducono dall’altra parte del Muro di separazione. Eh sì, il famoso Muro di separazione che Israele sta costruendo dal 2002 per stabilire “di fatto” i propri confini e lasciar fuori i palestinesi (Israele nega l’accesso a Gerusalemme ai palestinesi aldilà del Muro, così come vieta l’ingresso degli israeliani nei territori palestinesi: ai gendarmi il potere della parola e dell’incontro fa paura, e sanno che la separazione prepara alla guerra). Gli uni lo chiamano “Barriera di sicurezza”, gli altri “Muro dell’Apartheid”. Sicuramente ti lascia addosso un senso di angoscia profondo, un pugno nello stomaco a cui dovrò fare l’abitudine. Ma questa è un’altra storia, che avrò modo di raccontare in questi mesi da Casco Bianco nella Palestina occupata.
Pubblicato il 29/12/2008 alle ore 12:16 da provincia.ap.it
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