L'Etiopia di Francesca
Anche spostarsi in auto diventa un'impresa: basta un po' di pioggia e si può restare fermi più di un giorno.
27/3/2008 - Qualche giorno fa mi trovavo per lavoro a un’ora di macchina da Moyale, verso nord, in compagnia di due miei colleghi etiopi. Stavamo conducendo delle interviste sulle resine prodotte nell’area e il programma prevedeva una sosta notturna. Ero pronta: avevamo preparato la lista dei villaggi in cui andare, le persone da intervistare e i format da compilare. Inoltre ormai sapevo cosa aspettarmi, in termini di servizi (fornitura di acqua tramite brocche di plastica e latrine), dall’alberghetto in cui avremmo sostato: mi ero dunque munita, oltre che delle immancabili torcia e carta igienica, anche di un lucchetto, accessorio fondamentale dato che le porte degli hotel finora visti nel sud Etiopia si chiudono dall’interno con un semplice chiavistello.
Il primo giorno del “field” ho sperimentato la forza della natura in due differenti maniere. Mentre stavamo conducendo un’intervista a un venditore di resine all’esterno della sua attività all’improvviso ci ha investiti un “tornado” di polvere. Accade spesso che, durante la stagione secca, si creino turbini di polvere molto alti, sorta di mulinelli aerei che prendono la forma, appunto, di leggeri tornado: basta infatti un po’ di vento per sollevare gli strati di polvere sottili e superficiali. La sensazione è stata quella di miliardi di particelle di polvere scagliati su di noi come proiettili provenienti da tutte le direzioni mentre il vento sollevava i fogli su cui stavo scrivendo e con i quali cercavo di ripararmi: impossibile tenere gli occhi aperti e capire cosa gli altri stessero facendo. Pochi minuti e il vento è cessato lasciando noi e i nostri oggetti sommersi da un sottile e invadente strato di polvere fina…
La notte in albergo invece sono stata svegliata dall’arrivo della pioggia che si è fatta preannunciare da assordanti tuoni e accecanti lampi. Lo scroscio è stato abbondante, rumoroso e duraturo, tanto che un po’ d’acqua è penetrata in camera da sotto la porta e dal soffitto. Io speravo che anche a Moyale stesse piovendo in quel momento: ho poi constatato che la cittadina ha goduto solo di brevi e flebili precipitazioni.
Per chi lavora in field e cerca di raggiungere i villaggi lontani dalla strada asfaltata, uno degli immediati effetti della pioggia è il rischio d’impantanamento del veicolo su cui si viaggia. Qualche mese fa, pochi giorni dopo il mio arrivo a Moyale mi era già capitato, ma il blocco era durato poche ore grazie alle abili mani dei miei colleghi etiopi. Stavolta invece siamo rimasti bloccati per circa 27, 28 ore e vari sono stati i tentativi per liberare l’auto dal fango. Dapprima la gente dei villaggi vicini, incuriosita, si è avvicinata e con il loro aiuto abbiamo cercato di spingere prima in avanti la macchina, poi di tirarla con le corde: sforzi vani. Così abbiamo deciso di raggiungere a piedi la strada asfaltata, fortunatamente distante solo mezzo chilometro che però mi è sembrato molto di più per l’enorme quantità di fango sotto le scarpe e addirittura dentro, tanto che a ogni passo sentivo i piedi farmi male e il fango ferirli. Sulla strada un camion ci ha dato un passaggio fino alla cittadina più vicina dove abbiamo chiesto aiuto all’amministrazione provinciale che ci ha fornito un veicolo con cui provare a trainare la nostra automobile ma anche questo tentativo è stato vano. Così abbiamo chiesto collaborazione a dei lavoratori impiegati nella costruzione di condutture per le telecomunicazioni e a un’altra ONG nei paraggi, ma senza successo. Infine abbiamo chiamato il nostro ufficio di Moyale: il mattino successivo ci avrebbero mandato un camion per trainare la macchina e un gruppo di “konso”, una popolazione immigrata a Moyale proveniente dalla valle dell’Omo e molto famosa per la forza fisica dei suoi uomini.
Il mattino successivo eravamo tutti lì: il fango ha continuato ad ostacolare anche mezzi e uomini di soccorso. I Konso hanno lavorato strenuamente scavando sotto e intorno l’automobile finché il mezzo è stato finalmente liberato. Così siamo potuti tornare a Moyale, stanchi e con il fango ormai secco che arrivava alle ginocchia. (da provincia.ap.it) Francesca Bernabini
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