Il Cameroun di Alice
Si festeggia anche qui l'8 marzo: ma i diritti delle donne sono praticamente nulli
17/3/2008 - La condizione della donna in Cameroun è quasi nulla: è lei che si occupa della casa, a lei quindi tocca cucinare, marciare chilometri e chilometri sotto al sole per andare a prendere l’acqua, occuparsi dei figli e del marito. Se l’uomo lavora e si occupa del mantenimento agli studi dei figli maschi, la donna dovrebbe occuparsi degli studi delle figlie femmine: cosa impossibile, considerando che spesso non ha nessun reddito. Non mangia e non dorme insieme al marito, e anche quando ci sono ospiti il suo ruolo resta quello di una cameriera. Non ha alcun diritto all’interno della famiglia e della società, è l’uomo che decide per tutto, nulla può essere fatto senza aver avuto prima il suo benestare. Una donna non sposata o che non può avere figli è considerata un nulla.
Ci sono donne che lavorano, ma questo non cambia la loro condizione di vita all’interno della società e della famiglia. La visione popolare dice che la donna è stata creata per occuparsi della casa e fare figli: questo è il suo dovere. Tutto il resto (la vita, la libertà, l’essere riconosciuta come persona e come donna) è qualcosa che non le appartiene. Non essendoci una cultura di base, sono succube e rassegnate a questa condizione di nullità.
Eppure anche qui si festeggia l’8 marzo, un giorno che diventa per loro un modo per sentirsi protagoniste. Ci sono dei rituali da rispettare: Per prima cosa ogni anno viene fatto un “pagn” (un vestito di stoffa colorata); per l’occasione vi sono impresse immagini di donne che fanno qualsiasi tipo di lavoro e scritte sulla libertà ed il rispetto, come ad esempio un incoraggiamento a non farsi picchiare (cosa invece normalissima all’interno di una famiglia). Il “pagn” deve essere regalato dal marito che, in questo giorno, dovrebbe anche occuparsi della casa e dei figli, compreso l’andare a prendere l’acqua al pozzo. In realtà, nella migliore delle ipotesi quello che la moglie riceve è il “pagn”. Io non ho un marito e il “pagn” me lo sono comprato, non perché ci tenessi ad indossarlo ma solo come ricordo.
Come vi ho già raccontato, ogni festa implica una sfilata. Le donne dei villaggi di Mouda, Moussurtuk, Sarmazougui ed altri nei dintorni si sono organizzate per la parata. La partenza da Mouda, direzione Moussurtouk, prevista per le 9, è slittata di un paio d’ore e solo a mezzogiorno è iniziato il dibattito alla FAPEN, il complesso che si occupa di agricoltura ed allevamento gestito da ACRA a cui hanno fatto seguito il pranzo con i balli tradizionali. Laura, Paola, Elise ed io siamo partite a piedi verso Moussurtuk alle 10, rigorosamente abbigliate con l’abito della festa. Sole bollente, caldo….. Abbiamo pazientemente atteso all’ombra di un albero l’arrivo delle nostre compagne che, correndo e cantando, in un enfasi di colore hanno dato inizio al dibattito incentrato quest’anno sull’economia familiare, nello specifico sulle attività produttrici di reddito che una donna può svolgere. Si è parlato di come sia importante per la condizione femminile all’interno della società essere in grado di produrre per poter essere indipendente, creando anche dei piccoli gruppi che possano lavorare insieme, come ad esempio la vendita di cibo nei mercati locali e la sartoria.
Dopo la relazione, nessuna donna è intervenuta: ho avuto l’impressione che fossero lì solo per mostrare il loro abito, mangiare e divertirsi, nulla di più, nessun interesse, nessuna obbiezione, rassegnate alle imposizioni di una società maschilista che non lascia loro nessuna via di fuga. Forti e coraggiose, certo, resistenti come rocce esposte a mille intemperie, ma non abbastanza per ribellarsi. Bisogna anche dire che non hanno nessun mezzo, nessun aiuto sociale che permetta loro di cambiare. L’attesa, la speranza e la profonda tristezza che vedo ogni giorno nei loro sguardi duri, e che ho visto anche in questo giorno, mi ha fatto capire che forse le cose non cambieranno mai in una cultura che radici troppo profonde e nascoste.
Io non posso neanche immaginare cosa significhi aver paura del proprio uomo, aver paura di essere picchiate, non pensare ad un futuro migliore. Provo rabbia e tristezza nel vedere ragazze mie coetanee obbligate dal padre a sposarsi per poter così guadagnare la dote. Nasci femmina è sei già condannata, tuo padre confiderà in te per guadagnare soldi, capre, mucche. Una donna “tupurri” (tra tutte le etnie, la più “cara” a livello di dote) vale 7/8 mucche e una quota in denaro: avere tante figlie femmine è una grande fortuna per la famiglia. Spesso i fratelli maschi possono sposarsi solo dopo che è entrata in casa la dote della sorella, così a loro volta avranno la dote da donare alla famiglia della futura moglie.
In serata siamo andati a cena a Maroua con ragazze e ragazzi che lavorano alla fondazione: birra e pesce alla griglia da mangiare con le mani. Una bella giornata per me che ho avuto la fortuna di non nascere in questa cultura e che considero questo giorno come tanti altri. Tutto è stato però avvolto da un velo di tristezza e delusione per quello che vedo ogni giorno, in questa terra meravigliosa piena di affascinanti e misteriose tradizioni ma altrettanto piena di contraddizioni e sofferenza. (da provincia.ap.it)
Alice Beltrami
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