IL PERU' DI SERENA
Superata la metà dell'anno di esperienza come "casco bianco" nel Paese sudamericano, è tempo dei primi bilanci/26
Tempo di bilanci 2007-05-22 - Ho iniziato in ottobre con molti dubbi, paure, aspettative; ma soprattutto con il desiderio di mettermi in gioco e di vedere se sarei stata in grado di vivere in una realtà cosí diversa da quella a cui ero abituata e di poter fare qualcosa di concreto, che mi facesse sentire bene. Sì, in realtà era più per me che per gli altri che intrapresi questa strada. All’inizio tutto mi entusiasmava, la ONG alla quale ero stata assegnata è molto conosciuta nel Paese e questo mi faceva sentire importante e, allo stesso tempo, mi sentivo in dovere di “fare” e “fare bene”. Accettavo tutte le attività che mi venivano proposte, non volevo perdermi nulla e soprattutto volevo capire, comprendere la realtà in cui ero capitata e la sua gente.
Il primo impatto è stato molto forte e solo in seguito ho avuto modo di rifletterci sopra. La mia istituzione lavora molto con i familiari delle vittime del conflitto armato interno: le loro storie, le esperienze che hanno vissuto sono difficili da ascoltare. All’inizio pensavo che io, straniera, non facendo parte del loro mondo, non avrei potuto fare molto per queste persone perchè molte delle loro sofferenze non le avevo mai vissute. A poco poco, sono riuscita a capire un po’ meglio il Perù, Lima, cosa ha significato il terrorismo e la repressione militare tra l’’80 ed il 2000, cosa pensa la gente e come conquistare la fiducia delle persone. In Aprodeh sto partecipando a molte campagne di difesa dei diritti umani, che spaziano da iniziative contro il razzismo a marce per sostenere l’estradizione di Fujimori.
Trascorro molto tempo in ufficio, in un bel quartiere della capitale: all’inizio questo mi metteva a disagio, pensavo a chi lavora in zone “complicate” (come le chiamano qua) e mi sentivo di non realizzare a pieno il mio servizio civile. Ora ho imparato a fare la distinzione, do molta più importanza a quello che una persona fa e all’impegno e la passione che mette nel proprio operato che al luogo in cui vive o lavora. Non so se riesco a spiegarmi: però, prima di arrivare in Perù, pensavo che i ricchi fossero i cattivi ed i poveri i buoni, quelli da aiutare. Pensavo che vivere in una bella zona o lavorare in un ufficio fosse sbagliato e contradditorio. Adesso sto imparando a relativizzare e a vedere le cose da un altro punto di vista. Al lavoro sto apprendendo ad assumermi nuove responsabilità e ad essere più propositiva, organizzo diverse iniziative con giovani universitari e queste attività mi stanno aiutando a trovare nuove energie.
C’è stato un po’ un calo fisico e mentale a metà percorso: me ne sono resa conto alla formazione intermedia, a fine aprile. Non so bene cosa sia successo, ho vissuto un momento in cui mi sembrava di non andare avanti, di essermi fermata ad un punto. Ora sto lavorando per superare quel punto e trovare nuovi stimoli, nuove sfide.
Con gli altri “caschi bianchi” le relazioni sono altalenanti. Ci siamo persi di vista, ognuno con i suoi ritmi e le sue scoperte da fare. Magari è importante anche mettersi alla prova e vedere com’è camminare con le proprie gambe. Alla formazione intermedia mi sono resa conto che di molti non sapevo nulla, non conoscevo il progetto a cui lavoravano e le difficoltà che hanno dovuto affrontare; da un lato mi è dispiaciuto, dall’altro mi ha aiutato a capire i miei ostacoli e a trovare nuove strategie per superarli.
Sento che sta cambiando qualcosa in me, non so ancora in che direzione, se in meglio o in peggio, a volte mi sento più confusa di quando sono arrivata e questo non so se sia normale. La mia famiglia mi sta mancando, e con essa il mio Paese. Spesso mi capita di fermarmi a riflettere e di dire “qui sono in mezzo a persone che lottano duramente per cambiare il proprio Paese, per renderlo più umano e vivibile. E io, cosa sto facendo per il mio?”. Resto minuti a pensare a questo interrogativo senza trovare risposte. (da provincia.ap.it) Serena D'Angelo
|