Ma quanto mi piacerebbe fiondarmi a 70 all’ora sull’ancora fumante nastro di lungomare liscio e nero! Senza scossoni al culo, senza buche tombini trappole gradini. Inclinato da matti in curva, ma sicuro e stabile, ah come tiene la ruota! Nelle violente frenate sentire il telaio innervarsi plasticamente, senza incertezze senza vibrazioni senza torcimenti senza lamenti. Non tranciarmi la lingua franando su buche meteoritiche… Guizzi scanzonati… sguardo a cannocchiale… vento che ti pulisce le scorie… “polvere di palcoscenico” negli occhi. E se piove, quasi specchiarmici “in quel fondo lucido e scuro di un nero già blu…”.
Sarebbe bello, ma non farò in tempo a farcela.
Non per l’età, la salute, il lavoro, o la bici ridicola.
Ma per l’asfalto. Perchè se ne sarà già andato appena conclusa la Tirreno-Adriatico. Dissolto. Evaporato.Trecentosessantaquattro giorni ci sfasciamo ossa e cerchi su asfalti-macadam da guerra o piste ciclabili firmate De Sade. Ma il trecentosessantacinquesimo la città delle caverne a raso mette il vestito buono e voilà: l’asfalto di un giorno (!).
Altro che tattica del rattoppo: ci vorrebbe una Tirreno-Adriatico al giorno - una cura da cavallo - per rendere decenti le strade di qua!
Mi sa perciò che è tutto finto, come The-Truman-show. Già domenica sera, chiusa la gara, il liscio asfalto [di un giorno] dei nostri sogni - arrotolato in cilindro come lungo tappeto al petrolio - sarà caricato su uno dei variopinti TIR della corsa…
Per essere riportato qui, e ri-srotolato, tra un anno.
Condannati – quando va bene – all’inferno urbano delle finte piste ciclabili, noi tapini.
13.03.’09 PGC