IL PERU'DI SERENA
Gli anni della violenza politica nelle ultime battute di un processo per omicidio plurimo che ha visto coinvolti poliziotti e militari/14
15/2/2007 La Sala Penal Nacional “¿Ya fuiste a la Sala Penal Nacional?” “No” “El lunes vamos a ir, lleva tu pasaporte”. Io non l’ho mai visto un tribunale vero, con giudici, imputati e avvocati in toga. Sì, in tv ho visto qualche processo, peró non è lo stesso, è per questo forse che sono cosí emozionata. Noi di “capacitación” non possiamo mancare all’appuntamento, lunedì 5 febbraio ci sarà il verdetto di un caso importante, il primo verdetto degli anni della violenza politica. A causa della dittatura di Fujimori e delle lungaggini burocratiche, i processi dei numerosi casi di violazione dei diritti umani sono andati avanti e indietro come gamberetti impazziti. Militari che non si presentavano, il foro militare che voleva avere la meglio su quello civile per evitare il carcere ai suoi protetti, nuove prove che rimettevano tutto in discussione… e altre mille circostanze hanno prolungato i tempi della Giustizia. Questo 2007 é un anno chiave: molto si deciderá, per questo é importante esserci. Il caso “Chuschi” Chuschi è un paesino situato nella regione di Ayacucho. Nel 1990 ci fu un forte contenzioso tra autorità civili e militari: la Polizia pretendeva che i cittadini del luogo si organizzassero in ronde contadine (una sorta di pattuglie armate diffuse in tutto il paese negli anni ’80-2000) per fronteggiare gli attacchi di Sendero Luminoso. La popolazione si rifiutò per evitare di trovarsi coinvolta in scontri diretti, membri di polizia ed esercito si vendicarono per questa decisione. Irruppero a Chuschi il 14 Marzo del 1991, perquisirono alcune abitazioni e catturarono il Sindaco, il segretario edile ed altri due membri della Giunta comunale; nel frattempo, alcuni ausiliari dell’esercito simularono un attacco armato per poter in seguito giustificare il sequestro arbitrario delle autorità civili. I familiari del Sindaco e degli altri andarono alla polizia per chiedere la liberazione dei propri cari, in commissariato tutti negarono la presenza dei quattro cittadini di Chuschi. I corpi di Manuel Pacotaype Chaupín, Martín Cayllahua Galindo, Marcelo Cabana Tucno e Isaías Huamán Vilca non furono mai trovati. A distanza di 16 anni i familiari continuano a cercare giustizia. Il 5 febbraio 2007 è prevista la sentenza finale in cui verranno stabilite responsabilità, condanne e risarcimenti.
Ad Aprodeh tutti sono in fermento. Insieme ad alcuni dell’area di comunicazione e di quella legale ci dirigiamo alla “Sala Penal Nacional” con un po’ di anticipo per accogliere i famigliari convocati. Oltre ai parenti delle vittime Chuschi sono venute altre persone, la presenza è importante. Il signor C. appena mi incontra mi chiede uno striscione da esporre al termine dell’udienza. Io non ce l’ho, non pensavo fosse importante. La signora Pacotaype vuole le foto di suo marito e degli altri, io non ho neanche quelle. L’udienza sta per iniziare. Troppi volti delusi, così col signor C. decidiamo di tornare ad Aprodeh. Il tassista vola e noi, con cartelloni ed acquerelli creiamo un nuovo striscione più artigianale. Maite, una grafica dell’area di comunicazione, mi aiuta con le foto. Dopo un’ora siamo di nuovo nel “Cercado” di Lima con le nostre “armi”, un po’ sudati ma soddisfatti.
Io temevo di perdermi la parte finale ed invece si trovano ancora al racconto delle indagini, una narrazione che si protrae quasi per tre ore. Alcuni giornalisti, sulla sinistra, si addormentano. Per un attimo mi improvviso ritrattista e cerco di immortalare la sala, non sono mai stata un genio del disegno, però mi piace, é come fissare per un attimo la percezione di quel momento. Familiari di Chuschi da un lato e familiari degli accusati dall’altro. Gli imputati di spalle, sembrano tranquilli. Di fronte e ai lati, giudici ed avvocati. Qui non indossano la toga ma un nastro a mo’ di collana di diversi colori, in base al “colegio de abogados” dove hanno preso il titolo. Il momento finale arriva Quattro dei sei imputati si alzano. Uno di loro é in stampelle, nel suo volto il terrore del carcere. “Assolti”. Abbracci e commozione. Rabbia tra i familiari, tra di loro alcuni furono direttamente coinvolti nella cattura, uccisione e sparizione di quattro vite umane. Il capo del “cuartel” si becca sei anni. L’ufficiale dell’esercito che li consegnò alla polizia quattordici. La moglie dell’ufficiale esplode in un pianto sordo. Per un attimo sono stata male per loro. Pensandoci poi, a mente fredda, 14 anni per avere ammazzato e fatto sparire quattro persone (sembra che abbiano fatto esplodere i cadaveri con la dinamite) non sono molti.
É strano il tribunale, l’atmosfera che si respira all’interno. Un insieme di emozioni, buoni e cattivi che a volte si mescolano e mi confondono le idee. Prima di entrare ero emozionata e volevo vedere a tutti i costi la parte in cui dicevano “Colpevole” e “Innocente”, ero una ragazzina esaltata. Forse avevo scambiato, per un istante, realtà e finzione. Poi tutto è stato diverso, mi sono resa conto che era reale: persone, fatti accaduti, ho realizzato che la gente in carcere ci andava davvero, che quei quattro ragazzi erano morti… Alla fine sono stata assalita da un senso di angoscia verso tutti: colpevoli e vittime. Un effetto strano.
Fuori tutto é amplificato dai media. Alcuni giornalisti vogliono testimonianze dei famigliari che ancora non si sentono ripagati dalla giustizia, su sei accusati ne hanno condannati solo due: non è una buona media… Per non parlare dei risarcimenti alle famiglie che si aggirano intorno ai 10mila euro da dividere tra figli, mogli e nipoti. Altri cercano lo scoop e lo trovano. Proprio davanti alla sala penale un gruppo di familiari dei poliziotti uccisi dai senderisti provoca i familiari di Chuschi chiamandoli “terruqui” (terrorristi in gergo). Questi, nervosi per come si è conclusa la sentenza, si infervorano, una ragazza l’abbiamo bloccata in tre, era partita, lanciatissima, contro la moglie di un poliziotto deceduto. Le telecamere erano accese, in attesa dello scontro che fortunatamente si è evitato.
Con diversi taxi torniamo ad Aprodeh. L’avvocato Gloria Cano, che da 16 anni segue il caso, cerca di spiegare con parole semplici cosa hanno stabilito i giudici. Elabora un riassunto della sentenza, spiegando cosa è da giudicare positivo e su cosa, invece, ci si deve appellare. Tutto sembra meno drammatico. Tranquillizza i familiari, delusi, alcuni in lacrime. Dopo tanti anni, si aspettavano una conclusione diversa: “Vorrei congratularmi con voi – dice loro - per il coraggio manifestato, per la forza che avete avuto durante tutti questi anni. Avete fatto una figura dignitosa, sono orgogliosa di voi”. La “doctora” Cano, come la chiamano qui, ha la fama di essere una persona dura, concreta, mai le avevo sentito dire frasi simili.
La commozione é grande. Un signore raccoglie un po’ di lucidità e ringrazia Aprodeh, gli avvocati, quelli di comunicazione, la vecchia guardia, l’istituzione in generale. “Non avevamo neanche i soldi per pagarci l’autobus per portare le nostre testimonianze e assistere alle udienze. Grazie per il sostegno che non ci avete mai negato”. Io mi sono sentita microscopica (mi succede spesso qua) ed ho lasciato il “comedor” di Aprodeh, mentre la riunione continuava. ( da provincia.ap.it) Serena D’Angelo
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