di Pietro Lucadei
SAN BENEDETTO DEL TRONTO, 31/08/2008 - Presentato lo scorso 28 agosto al Teatro Concordia, lo spettacolo “The song we are playing”, con la coreografia del sambenedettese Giulio D’Anna, unisce in modo splendido teatro, danza e pittura. Corpi vibranti che si intrecciano, corpi aggrovigliati e stretti da nodi. Un’esperienza sinuosa e di sicuro fascino, come si è visto sul palco del Concordia, che si sposa a memoria con le tele a loro volta sinuose e affascinanti di Francesca Tavoletti. Un suo dipinto, ispirato alle coreografie di D’Anna, si stagliava all’ingresso del teatro come un benvenuto nel mondo dei nodi, dei corpi, dell’armonia e della vita.
Abbiamo incontrato l'artista per una chiacchierata.
Come è nata la collaborazione che ha dato vita a “The song we are playing”?
Io e Giulio D’Anna ci conosciamo da una vita ormai, siamo praticamente amici d’infanzia e da sempre abbiamo sperato di creare qualcosa insieme proprio per unire le nostre passioni, la pittura e la danza, ma ancora non sapevamo come sfruttare i nostri “strumenti” e creare qualcosa di bello. Nel tentativo di fare in ogni modo qualcosa, durante l’Università a Bologna tra idee confuse e una risata e l’altra, abbiamo anche creato la bozza per un fumetto, ispiratoci dalla città che ci stava ospitando e da un alberghetto sgangherato vicino alle due torri e ancora oggi sogniamo di divertirci anche in questo modo. E finalmente dopo essere almeno un po’ cresciuti nel nostro lavoro, Giulio mi ha esposto il suo progetto, ed io ho accettato immediatamente.
Chi ha ispirato chi? Entrambi, perché lavoriamo con e sul corpo e con questo, cerchiamo di far vivere a chi ci osserva delle emozioni sempre diverse perché condizionate dalla loro storia personale, perché l’amore, l’odio, la tristezza, la vita insomma non è mai uguale.
Di sicuro la tua pittura sembra nata per contaminarsi con la danza. Cosa ne pensi? E’ proprio così. Già da qualche anno i miei soggetti sono ispirati da danzatori, in particolare di una danza giapponese, Butò. Non solo le parole hanno il merito di potersi esprimere direttamente, anche il corpo ha questo dono, basta solo aprirsi ed ascoltarlo.
Da spettatrice, che tipo di reazione hai avuto durante lo spettacolo? Un apprezzamento continuo. Già dalle loro prove sono rimasta affascinata e sempre più contenta di poter fare qualcosa con loro. Quando ho visto il nodo, the knot, alla vista di tutti quei corpi fusi tra loro, ma allo stesso tempo distinguibili, sono corsa da Giulio e gli ho detto che avrei voluto concentrarmi su quello e lui mi ha immediatamente risposto che era nelle sue aspettative. Non solo, la sera dello spettacolo al teatro Concordia, tutta la mia ammirazione per Giulio si è confermata e cresciuta esponenzialmente e sono fiera di essere sua amica. E’ riuscito a farmi vivere mille sensazioni, senza sosta per tutta la sera, lui con la coreografia e i danzatori con la loro bravura e professionalità.
La collaborazione avrà un futuro? “The song we are playing”,verrà completato in due mesi di lavoro, durante l’autunno-inverno. Il pezzo sarà presentato nel circuito teatrale olandese ed europeo. L’idea è quella di far viaggiare il quadro con il pezzo. Quello a cui abbiamo assistito a teatro, è lo scheletro di un lavoro più ampio, elaborato e intenso. C’è l’idea con Giulio, di creare una mini-serie di soli e duetti di pezzi di danza dove il mio lavoro di pittura si possa intrecciare e fondere durante il processo creativo in modo da realizzare un’intensa comunicazione con i vari media.
Come stai portando avanti il tuo studio sul corpo e sui suoi movimenti?
Questa esperienza mi ha arricchito molto, e continuerà a farlo. Assistere alle prove e quindi poter osservare i loro corpi mi ha riempito di immagini che si andranno ad aggiungere alle altre. Ora devo solo aspettare e vedere cosa succede.
Klikkare il VIDEO di Domenico Marocchi