IL PERU' DI SERENA
Un episodio di disservizio in un pubblico locale dà la misura del carattere del polo peruviano/19
29/3/2007, Per una bustina di tè… Alcuni giorni fa dovevo trascorrere un fine settimana agreste, alla scoperta di un altro pezzettino di sierra peruviana chiamato Huancayo. Però, come spesso avviene con i peruviani, la “gita” è saltata per vari motivi organizzativi ed io, delusa, sono rimasta a Lima. Il problema è che questa popolazione non è capace di dire di no (a quanto pare esistono varie teorie che giustificano tale atteggiamento) e così, pur sapendo di non poter partecipare ad un evento o accompagnarti in un viaggio, ti dicono che sistemeranno tutto e all’ultimo momento emergono i mille ostacoli che erano presenti fin dall’inizio… che solo tu non conoscevi. Ho iniziato ad apprezzare molti aspetti del Perù, però questo loro modo di fare a volte mi innervosisce così tanto da portarmi all’esasperazione.
Nell’astuccio conservo ancora una “boleta” (scontrino) con scritto “golden chicken”, consumazione: un mate(infuso). Mai avrei immaginato di scoppiare in lacrime per una bustina di tè, qua mi è successo. Sembrava uno di quei film di Verdone che mostrano gli aspetti più maniacali ed inaspettati delle persone. Ecco che cosa è accaduto.
Stanca, assolata e con mal di stomaco, mi sono presa una piccola pausa dal lavoro (ero nel paesino sperduto durante il “taller” con i ragazzi) alla disperata ricerca di un tè. Entro in un immenso ristorante che serve pollo dopo aver chiesto a tutti i negozi di ristorazione e caffetteria della piazza (l’unica, in Chancay) se potevano preparami del tè. A quanto pare, qui si possono trovare pollo e riso in quantità industriale e a tutte le ore, però il tè no, troppo complicato.
Arrivo un po’ stanca e rassegnata, chiedo alla cameriera: ”Avete del tè puro?” (sembra una sciocchezza, ma qua hanno le tisane di tutti i tipi di spezie, e i sapori semplici sono a volte introvabili: fa parte della diversità culturale - culinaria). La cameriera annuisce. Io, non ancora convinta (sto iniziando a conoscerli), cerco di darle un’alternativa: “Guardi, se non lo avete, una camomilla va benissimo. L’importante è che non sia tè alla cannella perché non lo bevo”. Lei, sicura di sé, mi dice: “Señorita, no se preocupes”. Aspetto 20 minuti (in genere un pollo dopo 5 è già pronto nel piatto con le sue “papas fritas” e il mitico “arroz”). Arriva il “capo” con la mia tazza, io mi rilasso pregustando il mio infuso, man mano che il signore si avvicina l’odore di cannella si fa più nauseante. Non ci posso credere, l’unica cosa che non mi piace al mondo me la portano sotto il naso.
Non si sono sbagliati visto che, invece di portarmi la bustina, si presentano (mandano il “capo”, i furbi…) con l’infuso già bello e fatto: pensavano che il mio odorato fosse in sciopero, evidentemente. Dalla pancia inizia a salirmi un groviglio di sensazioni che si materializzano in lacrime, sgattaiolate senza alcun controllo. Il signore non capisce il perché di tanta agitazione, io in singhiozzi gli ripeto che la cannella non la voglio. Resosi conto del mio stato d’animo, in quel momento alterato, mi rassicura: “Ora le cambio l’infuso con quello che desidera” dice, e nel frattempo stende un paio di monete ad un ragazzino che era lì, bisbigliandogli all’orecchio di andare a comprare una bustina di tè puro.
Io, fuori di me, con la voce strozzata, gli balbetto in uno spagnolo sgrammaticato che se non avevano quello che stavo cercando avrebbero potuto dirmelo all’inizio, quando ero entrata, senza prendermi in giro in quella maniera. E visto che il tè richiesto non ce l’hanno, me ne sarei andata altrove. In fondo mento, non ho la forza di iniziare la stessa storia con un altro gestore. Così mi siedo e dopo pochi minuti mi asciugo le lacrime davanti al mio tè puro. Il mio può sembrare lo sfogo di una folle, lo so, che in un paese con tanti problemi come il Perù “sclera” per una sciocchezza. Però vi assicuro che, dopo 5 mesi, questi atteggiamenti vengono accettati con poca tolleranza.
Ho chiesto ad un mio amico psicologo di Lima, se lui aveva una spiegazione a questo atteggiamento. Lui dice che è una questione di autostima, di complesso di inferiorità che una parte popolazione soffre a causa di un passato bellico poco glorioso e di un razzismo radicato che continua a proporre il modello europeo come il migliore. Per questo ed altri motivi, mi spiega, la maggior parte dei peruviani non riesce a dire “no non ce l’ho; no, non posso aiutarla”. Nella loro logica cercano di fare il possibile per esaudire i tuoi desideri (soprattutto se sei straniero): così, quando chiedo informazioni, piuttosto che dirmi che non conoscono la strada che sto cercando, mi mandano da un’altra parte e nei negozi, inviano corrieri per farmi avere qualcosa che loro non hanno mai avuto. (da provincia.ap.it) Serena D’Angelo
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