Ancora una volta ci troviamo a dichiararci, pur a fronte di una diminuzione costante dei trend infortunistici, marcatamente insoddisfatti anche in considerazione del dato in controtendenza degli infortuni mortali. La diminuzione degli infortuni non va di pari passo con il crescere della sensibilità sociale che vorrebbe “infortuni zero”. Sul crescere di questa sensibilità sociale l’INAIL ha certamente inciso con anni di iniziative informative, formative, prevenzionali e comunicative. Pasturato il terreno occorre ora far proprio l’invito del Capo dello Stato perché si passi dalla indignazione gridata alla consapevolezza operativa.
“La sicurezza è vita” è l’head line del manifesto scelto dal Governo per aprire il 2007 all’insegna della sicurezza. Il visual di quel manifesto (una bambina accolta e protetta da un casco da cantiere rovesciato) ci ricorda in maniera plastica che garantire la sicurezza sul lavoro vuol dire investire sul futuro delle Persone e delle Imprese.
Messaggio rivolto a lavoratori e datori di lavoro, e cioè a tutti noi: che apparteniamo (o, nel caso dei più giovani, aspirano ad appartenere) ad una delle due categorie. E nel caso di molti piccoli artigiani le due figure, come l’esperienza si incarica di dimostrare, spesso coincidono.
È vero che ci sono ancora situazioni nelle quali l’uso disinvolto o addirittura lo sfruttamento criminale del lavoro ignorano ogni elementare regola di sicurezza. E contro queste situazioni vanno indirizzate, e sono indirizzate, prioritariamente le iniziative di repressione, dei controlli e delle sanzioni. Ma per il resto occorre la partecipazione attiva di ciascuno perché si affermi una cultura della sicurezza che ci induca ad allacciare spontaneamente le cinture di sicurezza, a rendere sicure le nostre abitazioni, a proteggerci con il casco, ad evitare le situazioni di rischio negli ambienti di vita e di lavoro, a conciliare ritmi lavorativi e ritmi esistenziali. La cultura della sicurezza è una sola: non è ipotizzabile un datore di lavoro o un lavoratore attento alla sicurezza se ancora prima non è un cittadino attento anche nella vita privata alle esigenze della prevenzione.
Già nella relazione dello scorso anno abbiamo sottolineato come combattere gli infortuni e le malattie professionali sia un imperativo etico ma anche ineludibile sotto il profilo economico. Un Paese che cerca affannosamente le risorse per fronteggiare un debito pubblico fuori dei parametri europei non può continuare a spendere ogni anno 41 miliardi di euro per le conseguenze di questo fenomeno.
L’INAIL ha dato e sta dando il suo contributo. Abbiamo fornito le nostre riflessioni in ordine ai progetti di riforma del sistema previdenziale e del nuovo Testo Unico sulla sicurezza con la consapevolezza di poter sviluppare e valorizzare ulteriori potenzialità di cui, nell’ottica delle sue finalità istituzionali, l’Istituto è senza dubbio suscettibile.
Consultare il Rapporto annuale Inail 2006