Il mio ricordo di Enrico Berlinguer
di Giovanni Gaspari Oggi, 11 giugno, ricorrono i 25 anni dalla morte di Enrico Berlinguer, una figura di cui nessuno può definirsi erede naturale. Personalmente, essendo stato un suo grande ammiratore, mi piace ricordare questo anniversario. Mi piace per esempio ricordare come egli fosse soprattutto un innovatore, che proprio per questo veniva attaccato, come accadde negli anni dal ’77 al ’79. Tra le tante citazioni che si potrebbero fare delle sue parole, trovo particolarmente significativa una che intersecava umanità e politica, quando egli diceva che non esiste un modo di essere dato una volta per tutte, ma un divenire dell’uomo, un cercare di essere, una capacità di abitare nel tempo e nella propria epoca, e di cambiare tenendo forti e saldi i propri principi. Penso sia un’indicazione estremamente preziosa, quella di essere capaci di progredire sempre. La società mediatica non è sempre società dell’effimero, e se negli ultimi tempi è di moda parlare del presidente degli Stati Uniti d’America Obama, delle grandi speranze suscitate e degli importanti passi che sta già compiendo, è anche vero che occupandosi di lui la società mediatica mette a fuoco immagini importanti, gettando finalmente lo sguardo su strati della popolazione fino ad oggi emarginati e sui suoi problemi, senonaltro perché la crisi economica in corso genera purtroppo nuove povertà. Alcuni giorni fa è stata molto commentata la nomina da parte del presidente Obama di Sonia Sotomayor a giudice della Corte Suprema, una donna capace e stimata, proveniente dalla comunità portoricana del Bronx, e simbolo del riscatto sociale. Con il caso Obama la società mediatica sembra procedere come sempre per mode, ma mettendo sotto i riflettori, come raramente accade, una concretezza e una sobrietà che soltanto la più grave crisi economia da molti decenni a questa parte potevano imporre all’attenzione generale. Possiamo pensare che siano proprio queste le qualità più adatte per guidare autorevolmente un paese. Si possono chiedere i necessari sacrifici solo a partire da una autorevolezza personale. Lo diceva Enrico Berlinguer, quando dichiarava che «Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi». Ancora le ultime elezioni ci confermano questa protesta contro gli “esosi e intollerabili privilegi”, ma naturalmente la politica dovrà essere uno sguardo più lungimirante ancora. Quelli che c’erano in quegli anni, sintetizzano il ricordo di Berlinguer con parole semplici animate da profonda e generale convinzione: “Berlinguer era una brava persona”, le stesse utilizzate da Giorgio Gaber. Inutile negare che l’autorevolezza di un leader politico viene anche se non soprattutto dalla sua condotta di vita. Il meno che si possa dire, specie di questi tempi, è che la famosa formula dei vizi privati e delle pubbliche virtù indica un terreno accidentato. Lo spirito civico che manca in Italia, forse da sempre, è il contrario esatto dello stile Berlinguer, fatto di sobrietà e straordinaria lucidità. Un filo rosso lega dunque individui, partiti e società, e non certo perché la politica avrebbe giurisdizione sulla vita privata. È difficile interpretare il presente, e a maggior ragione indicare una strada verso il futuro. Lo è tanto di più se abbiamo l’ambizione di aprire nuove strade di progresso piuttosto che arroccarci su vecchi sentieri e dentro piccole patrie. Ancora nel 1981 Berlinguer lamentava quale fosse il male degenerativo di certi partiti: «scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero». È facile, anche da un punto di vista politico, riproporre un rassicurante passato. Più difficile è saper vedere, leggere, interpretare il presente, e saper tentare sfide vincenti per il futuro. Berlinguer è stato un modello di lucidità e capacità critica, di autorevolezza dentro e fuori il partito, e per la sua capacità di intuire le tendenze in atto, ciò che gli permise celebri affermazioni anche sugli assetti internazionali. La sobrietà e la correttezza personale che gli valsero l’ammirazione della gente e del mondo politico, compresi gli avversari, non è solo una caratteristica individuale. Non è grigia austerità, ma qualcosa che ancora oggi si proietta nella politica e nella società. Proprio a seguito di una crisi economica così devastante abbiamo l’impressione di un nuovo inizio, di una economia meno gonfiata, meno sovradimensionata, non basata sull’effimero. Non sono parole astratte. Oggi si viaggia sempre di più, anche in posti e presso culture lontane. E quando non siamo noi ad andare a vedere, sono i problemi stessi di un mondo interconnesso a bussare alle nostre porte, sotto forma di immigrazione. Abbiamo bisogno di intelligenza e pragmatismo, non possiamo permetterci una società e una classe politica che non sappia decidere. Chiuderci in noi stessi non è la strada del futuro, ma solo del rinvio, mentre i tempi aspettano fuori dalla porta. L’avanzamento della società è oggi più che mai un’istanza di inclusione sociale. «Noi pensiamo», affermava ancora Berlinguer, «che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata». L’esempio di Berlinguer, uomo di grandi qualità personali, per lo stile di vita come per la lucidità di pensiero, è vivo ancora oggi, a distanza di 25 anni dalla sua morte. Ricordarlo è una lezione per noi tutti.
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