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Antonio Ingroia, Pubblico Ministero del processo Dell'Utri |
Mafia e Politica – mandanti esterni e trattative
Considerare il fenomeno mafioso come autonomo e autosufficiente è ormai una evidente riduzione se è vero che, soprattutto negli ultimi cinquant’anni, è emersa storicamente una connivenza più o meno costante e approfondita di apparati istituzionali, in particolar modo di natura politica ( il caso Andreotti ne è emblema), con esponenti dell’organizzazione criminale “cosa nostra”. Ciò è dimostrato dal fatto che quando l’azione politica repressiva è stata più significativa – come avvenne dopo le stragi del ’92-’94 – si ottennero effettivamente risultati importanti nei confronti della lotta all’associazione mafiosa (la gestione Caselli a Palermo ha assicurato alla giustizia,tra il ’93 e il ’96, quasi tutti i latitanti coinvolti nelle stragi). È altresì vero che attraverso processi celebrati, semplice attività d’indagine di Pubblici Ministeri o provvedimenti d’archiviazione – come quello del Tribunale di Caltanisetta del 3 maggio 2002 – è possibile “intravedere” responsabilità, coinvolgimenti più o meno diretti di personaggi che hanno fatto o fanno ancora parte del panorama politico nazionale. L’esistenza, ormai considerata evidente, dei così detti mandanti esterni per quella serie di attentati che colpirono il territorio nazionale nei primi anni ’90, è razionalmente giustificata dal tipo di obiettivi che furono oggetto di attentato. Si ricorderà infatti che, dopo le stragi di Capaci (23/05/92) e via D’Amelio (19/07/92) esplosero bombe in via Fauro a Roma (Maurizio Costanzo – 14/05/93), in via de’ Georgofili a Firenze (Uffizi – 27/05/93), in via Palestro a Milano (Padiglione di Arte Contemporanea – 27/07/93), in San Giorgio al Velabro e in San Giovanni in Laterano (Roma – 28/07/93) e infine l’autobomba misteriosamente inesplosa allo stadio Olimpico di Roma tra gli ultimi del ’93 e i primi del ’94. È difficile credere che Totò Riina ‘u curtu’, che non ha mai messo piede fuori Sicilia, sia in grado di progettare un attentato a Firenze o anche solo di sapere che a Milano ci sia il Padiglione di Arte Contemporanea. Perciò si parla di mandanti esterni, ovvero di persone sganciate dalla stretta realtà siciliana e legate ad ambienti ben più influenti, in grado perlomeno di suggerire la tempistica di una serie di attentati volti più che altro a mandare dei forti segnali alla classe politica e a creare un utile clima di insicurezza diffusa. A questo punto si apre il tema della trattativa: “cosa nostra” destabilizza il clima, approfittando anche di un periodo di ingorgo istituzionale come fu quello del ’92-’93 (Presidente della Repubblica dimissionario, Governo instabile, Consiglio Superiore della Magistratura in rinnovamento e Procuratore Nazionale Antimafia da eleggere), cercando di negoziare aspetti quali il regime carcerario duro del 41-bis, il trasferimento di alcuni detenuti, il sostegno dello Stato ai pentiti di mafia e più in generale l’appoggio di nuovi referenti politici dopo la fine della prima Repubblica. Ciò che è certo è che una trattativa c’è stata e che a un certo punto la strategia stragista di “cosa nostra” si è interrotta, come a compimento di un do ut des; anche se difficilmente la storia definirà in modo chiaro i protagonisti e i retroscena, osservando i fatti possiamo capire qualcosa di più e farci un’idea su un altro “periodo oscuro” della nostra storia repubblicana.
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Francesco Serafini
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Editoriali |
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il 19 Aug 2006 alle 10:07 |
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